“Cronaca di un borgo e delle sue donne” di Chiara Ponte

Un affascinante excursus attraverso le vicende di donne, in una commistione tra realtà e fantasia, che rivela la passione dell’autrice per la storia del suo paese e un profondo senso di appartenenza alle proprie radici

“Cronaca di un borgo e delle sue donne” di Chiara Ponte. Un affascinante excursus attraverso le vicende di donne, in una commistione tra realtà e fantasia, che rivela la passione dell’autrice per la storia del suo paese e un profondo senso di appartenenza alle proprie radici. I ricordi, ancorati al passato, l’apparizione di donne che sembrano prendere per mano il lettore e accompagnarlo, rendono questo libro un percorso storico sulle ali dell’emozione delle protagoniste di questi racconti. La storia della “fanciulla di Numistrum”, risalente al 210 a.C. si dipana sulle tracce di un sentimento che la lega a un legionario romano: la semplicità e la purezza del suo animo, unita alla determinazione che però non può evitare il senso di rassegnazione per la sua condizione di donna, soggetta alla volontà degli uomini: ”Non so cosa sarà di me”. Ella è consapevole del proprio destino, ma anche del valore del sentimento che prova per il legionario romano, perché egli, pur tra mille difficoltà, l’aveva sempre trattata da pari: significativo è il monumento funerario che egli si fa erigere, in cui egli dispone che ci sia anche il ritratto dell’amata.

“Cronaca di un borgo e delle sue donne” di Chiara Ponte

Le immagini di vita della regina Giovanna I D’Angiò prendono le mosse da un manoscritto perduto. Ella fu rinchiusa per alcuni mesi nel castello di Muro Lucano e tenuta prigioniera dal nipote Carlo di Durazzo. La sua esistenza è stata costellata di grandi dolori, legati soprattutto alla perdita dei propri figli, morti in tenera età e dall’ invidia e dall’ opportunismo di coloro che la circondavano e ambivano solo al potere. Enorme è stata la crudeltà degli uomini che ha sposato: il suo desiderio più profondo era che avrebbe voluto un erede a cui lasciare il suo regno. Nonostante le avversità ha governato per 40 anni: le sono state rivolte accuse infamanti e ha dovuto sempre lottare contro un destino avverso. Nella sua disperata solitudine, affida alla scrittura le sue sensazioni, per lei rappresenta un vero e proprio “tesoro di carta” in cui effondeva le proprie memorie, accettando con completa rassegnazione il suo triste destino e la sua condanna a morte. I ricordi di nonna Carmela rivivono nelle parole di sua nipote, che si reca nella chiesetta del Carmine, il luogo che segnò l’incontro dei suoi bisnonni: all’interno, mentre sta donando come offerta un mazzo di fiori di campo alla Madonna, appare improvvisamente una suora che racconta la storia del quadro che si trova nella chiesa. Si delinea con molti particolari la situazione agiata delle fanciulle nobili in convento e l’amore platonico della monaca Lucrezia Orsini per Francesco, un giovane artigiano: consapevole dell’impossibilità di vivere questo suo sentimento, prima di partire per il monastero di Napoli, prende la decisione di lasciare un suo ritratto alla chiesa, raffigurata all’interno di un quadro come committente, perché egli lo vedesse e il suo dolce ricordo diventasse imperituro. Il valore storico di un luogo di culto, come la cattedrale e l’eco delle preghiere che si propagavano attraverso le navate diventa un percorso che si spinge anche negli ipogei, dove il lettore è sorpreso dalla presenza di tre mummie. Una narrazione immaginaria da parte della protagonista del racconto prende le mosse dal rendersi conto di essere rimasta chiusa dentro e di essersi addormentata: viene destata dall’apparizione di una bellissima nobildonna, elegante e distinta, che si rivela essere la duchessa Giovanna Frangipane della Tolfa, andata in sposa al duca Ferdinando III Orsini di Gravina, conte di Muro. Le racconta la sua storia e parla del suo profondo legame con suo figlio che diventerà Papa con il nome di Benedetto XIII; la sua era una famiglia molto religiosa e altre sue figlie si erano fatte monache. Molto bella è la descrizione che ella fa del castello, percorrendo le sale e gli anfratti a cui era rimasta maggiormente legata, la descrizione dei sotterranei della cattedrale con particolari di carattere storico- artistico, legati a reminiscenze storiche. La devozione profonda di tutti gli abitanti di Muro Lucano nei confronti di San Gerardo Maiella che qui ebbe i natali si manifesta nel racconto della sua vita e delle sue opere, attraverso la voce di coloro che l’avevano conosciuto e che rendono testimonianza ad un’ esistenza, come la sua, dedicata agli altri e improntata al sacrificio. Le sue parole: ”Perdonatemi, mamma, vado a farmi Santo”, pronunciate con estrema naturalezza ma sorrette anche da una intensa convinzione e fede in Dio rappresentano un percorso interiore in cui ogni particolare riveste un valore pregnante, come il pane bianco donato da Gesù Bambino che lui accoglie con spontaneità o i molteplici episodi miracolosi che lo vedono protagonista, ma da cui egli rifugge con estrema riservatezza. Scaturiva da lui un’aura particolare che lo avvicinava agli altri, comprendendone i dolori e diventando il messaggero di una guarigione del corpo e dell’anima. Il suo desiderio di mortificazione del corpo, i frequenti digiuni a cui si sottoponeva e le estasi lo facevano amare da tutti, anche per la sua estrema generosità. L’albero della libertà, il simbolo della rivoluzione si trasforma, attraverso le parole della maestra Eleonora, che ha lo stesso nome dell’eroina della Rivoluzione napoletana del 1799, in un racconto che prende vita attraverso il diario della bisnonna Agnese che si era sposata proprio davanti a quell’albero, come simbolo, contravvenendo alle tradizioni e alle norme religiose. L’importanza degli ideali che lei condivide col marito e che li coinvolgono nelle lotte politiche per l’indipendenza celebrano la città di Muro Lucano che è sempre stata in prima linea a favore della Rivoluzione. Quell’albero rappresenta una pietra miliare della storia di Muro e ricorda tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per non contravvenire ai propri ideali o hanno trascorso anni in carcere, senza cedere mai alla rassegnazione. Il valore della donna riaffiora anche nel racconto che ha come protagonista Angiolamaria, figlia di un brigante: spesso i briganti venivano definiti gente senza scrupoli e le loro azioni venivano descritte con particolari cruenti. Dietro questa immagine, tuttavia si nascondono storie in cui essi aiutavano la povera gente e la difendevano dai soprusi perpetrati dai possidenti del luogo: le donne raggiungevano i mariti nei boschi e portavano viveri e messaggi per aiutarli nella loro lotta. Angiolamaria narra con dolore il momento in cui la madre viene scoperta e uccisa, mentre il padre viene tradito da un suo compare. Il messaggio che se ne può trarre è che “bisogna essere orgogliosi delle lotte dei nostri avi e del passato”, un messaggio che rappresenta un monito per tutti. La storia è sempre stata narrata attraverso le vicende di uomini importanti che hanno cambiato i destini del mondo. L’autrice Chiara Ponte, in maniera innovativa, grazie alla sua peculiare sensibilità, è riuscita a inserire questa narrazione in una prospettiva tutta al femminile, tracciando immagini di donne che, in tempi ed in epoche molto diverse, hanno preso in mano le redini della propria vita, percorrendo strade difficili. Le figure di queste donne travalicano i limiti consueti e, descritte dalla penna dell’autrice che le ammanta di un’aura suggestiva, facendole rivivere accanto a noi, ci offrono una visione originale della storia, attraverso le loro passioni, amori, turbamenti, ma soprattutto attraverso la loro forza, celata dietro grandi rinunce.

A cura di Ilde Rampino


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