Controvento, Bellizzi: Avellino torni agli avellinesi

Il primario e vicepresidente dell'associazione di cultura politica chiarisce gli obiettivi del sodalizio e le priorità del capoluogo irpino.

«I partiti non hanno svolto il proprio ruolo e la città di Avellino è stata disamministrata. Adesso è necessario un nuovo protagonismo dei cittadini». A sostenerlo è Gennaro Bellizzi, primario di Cardiologia all’ospedale “Frangipane” di Ariano Irpino, avellinese da sempre impegnato nel sociale, appena nominato vicepresidente dell’associazione Controvento.

Quali sono gli obiettivi di Controvento?

«Controvento si è presentata fin dall’inizio per non essere una lista civica. Si propone, invece, come luogo di incontro e di discussione. Intendiamo aprire un dibattito sui problemi di Avellino e dare un contributo per la loro risoluzione. La situazione di disagio e di abbandono del capoluogo è evidente. Altrettanto la distanza dei cittadini dalla politica, che è assolutamente ripiegata su se stessa, attenta unicamente agli equilibri interni, alle carriere personali e agli incarichi. E’ tempo che gli avellinesi si rimettano in gioco, per dire la propria e costruire una nuova classe dirigente».

Secondo lei quali sono le cause della crisi dei partiti?

«In generale sono venuti meno al loro ruolo, perdendo la fiducia degli elettori. In particolare, in Irpinia direi che la vecchia classe politica, che in passato ha rivestito ruoli di rilievo nazionale, costretta poi a ripiegare entro confini molto più limitati, non si è occupata di creare una successione. Si sono fatti avanti, quindi, esponenti che non erano all’altezza delle sfide, sempre più difficili, che hanno pensato semplicemente a cogliere le opportunità che gli si presentavano. La città è stata disamministrata. Il crollo nelle classifiche sulla visibilità lo testimonia chiaramente».

La crescita del sentimento dell’antipolitica è una reazione alla inadeguatezza delle rappresentanze istituzionali e politiche. Non crede?

«Sì, ne sono assolutamente convinto. E’ stata la risposta alla condizione di abbandono che le persone hanno constatato. Ci sono problemi di sopravvivenza. Servizi carenti, bisogni fondamentali – come la casa – insoddisfatti, la vivibilità quotidiana è peggiorata. Anche nella nostra città vediamo un’assenza di risposte, a cominciare dalle manutenzioni di strade e verde pubblico. L’antipolitica, però, quando ha avuto l’occasione di governare ha dimostrato di non esserne capace ed è stata altrettanto distante dai bisogni. Il caso del Movimento 5 Stelle ad Avellino è emblematico».

C’è chi sostiene che non abbiano più senso categorie come “destra” e “sinistra”. Che ne pensa?

«Il mondo è sicuramente cambiato, ma esistono culture, sensibilità e modi diversi di vivere la politica. Anche gli interventi concreti sono una conseguenza dei principi e dei valori di riferimento. La sinistra, ad esempio, ha sempre ritenuto di doversi fare carico soprattutto degli ultimi, ma anche dei ceti medi, sempre più tartassati. Credo, quindi, che non solo vi sia ancora uno spazio politico per la sinistra, ma che le ragioni che la muovono rimangano tuttora valide. Il punto vero è che i partiti o i dirigenti che dicevano di voler interpretare queste istanze, non lo hanno fatto. Penso a Renzi, che ha portato avanti politiche addirittura di segno contrario».

Per tornare alla città, quali sono le priorità che avete individuato?

«Le aree di intervento sono quattro: la forma della città, i servizi alla persona, la città aperta e le forme della democrazia. Priorità va data sicuramente ai disagi sociali e al degrado urbano».

Quale missione andrebbe assegnata ad Avellino per restituirle concretamente il ruolo di capoluogo?

«Penso che siano fondamentali i servizi e la cultura. C’è anche la necessità di creare le condizioni per una riscoperta della città, attraverso la valorizzazione dei luoghi e delle testimonianze storiche, ma anche delle strutture inutilizzate, delle energie e delle realtà che la rendono viva, nonostante tutto».

Non ritiene che vi sia una forte carenza di senso della comunità?

«Sì, certamente. Non c’è dubbio che vada recuperato un senso di identità e di appartenenza alla comunità, che però sono venuti meno per l’assenza di riferimenti nei quali potersi riconoscere e di cui essere orgogliosi. Le condizioni di vita hanno causato l’allontanamento da questo territorio, soprattutto dei giovani, che spesso non vi fanno più ritorno. Così si è alimentato soltanto il risentimento».

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