L'ingresso di Palazzo Caracciolo, sede della amministrazione provinciale di Avellino

In attesa dell’arrivo ad Ariano domani del Capo dello Stato, unica istituzione riconoscibile agli occhi della opinione pubblica dopo il voto del 4 marzo, la politica irpina prova ad uscire dall’angolo, sulla scia delle evoluzioni nazionali. Per ora non si può parlare di reazione generalizzata, perchè c’è chi nel Pd, in particolare, sembra ancora ben determinato a dare battaglia per difendere le posizioni di comando acquisite. Più o meno come nel Consiglio comunale di Avellino è toccato finora ai rappresentanti pentastellati, in via Tagliamento c’è una minoranza numerica schierata a difesa dell’attuale equilibrio, decisa a non cedere agli appelli all’unità, che arrivano da una parte della maggioranza esclusa. Ne è la prova la nomina della segreteria provinciale, solo a poche ore dalla liquidazione a Cortona della componente renziana e degli equilibri che hanno permesso la celebrazione di una assise contestata e disertata. L’ex premier in serata ha confermato che non si candiderà nel congresso che riporterà nelle intenzioni di cattolici e progressisti il partito al 2013, con l’allora sindaco di Firenze impegnato a giocare da battitore libero. Ci sarà un suo referente che gli consentirà di riqualificare con la Leopolda la strategia mediatica che nel 2014 lo portò a Palazzo Chigi da amministratore locale. Ma il partito andrà avanti nel solco tracciato dieci anni fa. Sull’altro fronte, da Franceschini a Gentiloni il blocco cattolico schiererà un segretario della ricostruzione, come accadde in passato a Piero Fassino nei Diesse e a Pierluigi Bersani nel Pd, riannodando i fili politici sui territori, tanto quelli con chi si è allontanato, quanto soprattutto a rigenerare nella solidarietà e nella cooperazione il rapporto con chi è rimasto fedele al progetto, pur avendo subìto le conseguenze di scelte verticistiche.

In questo quadro, il Pd sembra destinato a riprendere il cammino interrotto anni fa per difendere la democrazia rappresentativa, ma per farlo dovrà sciogliere i nodi più difficili: quelli delle alleanze da realizzare al Centro, decisive per stabilire i margini di espansione della Lega nel sistema istituzionale locale fondato sull’asse con Forza Italia; quelli che attengono ai meccanismi di democrazia interna, fondamentali per determinare il grado di apertura del partito alle comunità e ai cittadini.

Cosa farà il Pd, la maggiore forza di opposizione al Governo Conte in Parlamento, influirà in maniera decisiva sulla possibilità di costruire nel Paese una alternativa credibile al sodalizio gialloverde, di fatto determinando il futuro qualitativo della democrazia italiana.

Paradossalmente, proprio le forze che più duramente si schierarono a difesa della Costituzione dalla riforma Boschi-Renzi nel 2016 oggi si propongono un sostanziale ridimensionamento nel ruolo e nella funzione delle Camere, pronti a riscrivere la Carta a vantaggio di una (per ora) ancora non ben definita democrazia diretta.


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In questo scenario i tempi della nuova politica istantanea fatta di tweet al posto degli atti, di imperativi in luogo del dialogo, sembra dimenticare che i problemi sociali restano drammaticamente nella vita quotidiana delle famiglie e delle imprese.

Preoccupata di salvaguardare il consenso, la politica sembra smarrire il proprio pratico ruolo, prioritariamente orientata a risolvere problemi, a definire programmi, raccogliendo sugli obiettivi la maggiore partecipazione democratica.

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