‘L’isola di Arturo’, di Elsa Morante. Letture da riscoprire

Il senso di solitudine e di ricerca di amore percorre tutta l’esistenza di Arturo, confinato nella sua isola, Procida

Ne ‘L’isola di Arturo’ il senso di solitudine e di ricerca di amore percorre tutta l’esistenza di Arturo, confinato nella sua isola, Procida: sua madre era morta nel darlo alla luce e in lui è costante il rimpianto per le carezze mai avute da una madre, il suo ricordo è sempre vivo in lui ed era come se lei vagasse sempre nell’isola in quell’ambiente limitato, egli si sente a casa, nonostante i procidani siano scontrosi e taciturni: suo padre, Wilhelm Gerace, era nato da una relazione del nonno con una tedesca e odiava tutti i procidani: il suo unico amico era l’Amalfitano, che , a causa della sua cecità, aveva paura che egli se ne andasse via dall’isola ed era morto solo. Wilhelm provò una sensazione strana, il giorno dopo la sua assenza, perché nonostante le sue debolezze, per lui l’amalfitano era speciale, prova una profonda riconoscenza per lui, che gli lascia in eredità la casa, l’oggetto più caro che aveva sulla terra e gli diceva sempre che “vivere senza nessun mestiere è la miglior cosa”.

L’isola di Arturo di Elsa Morante

Egli si era trasferito con sua moglie incinta in quel palazzo , conosciuto come la “Casa dei Guaglioni”, in cui nessuna donna era mai entrata, perchè le donne erano esseri insignificanti, inferiori all’uomo. La vita di Arturo si svolge dentro l’isola in modo libero e selvaggio, tra l’indifferenza di tutti e anche di suo padre, in mezzo al disordine e alla poca pulizia: il palazzo era stato saccheggiato dagli antichi ospiti che avevano portato via oggetti di valore. Suo padre era sempre di passaggio ma quando c’era, Arturo lo seguiva sempre: egli era diverso da tutti, taciturno e simile ad un dio. Wilhelm Gerace era un eroe, l’incarnazione vivente della grandezza umana e dell’autorità, non gli insegnava il tedesco, ma usava un italiano diverso, incarnava l’immagine della certezza, era “il mio capitano”. Avrebbe voluto conquistare la sua stima e la sua indifferenza lo feriva: il ritrovamento di un orologio in mare, regalo dell’Amalfitano, fa scaturire, per la prima volta, un dialogo tra di loro. Avrebbe voluto partire con lui, ma lo accompagna solo al porto: “aspetta di esser cresciuto per partire con me” sono le parole di suo padre che rappresentano al contempo una promessa e un miraggio. In lui vi era l’ eterna speranza che il padre tornasse, Arturo non si allontanava mai per paura che, durante la sua assenza, egli potesse tornare. Vi era sempre il mistero sulle sue destinazioni, non parlava mai di donne, né di sua madre né di sua moglie, aveva paura nell’esprimere i sentimenti. Aveva vissuto la sua infanzia solitaria in quel “palazzo negato alle donne”: gli unici regali che riceverà da suo padre saranno una barca e un cane femmina che il bambino chiamerà Immacolatella e sarà la sua unica compagnia per anni e gli darà tutto l’affetto di cui si sente privo e quando essa morirà nel far nascere i suoi cuccioli, per lui sarà una perdita terribile che sembra ripetere in un certo senso la sofferenza per la morte di sua madre. Arturo provava una superiorità diffidente e scontrosa rispetto agli altri perché per un Gerace dar confidenza ad un concittadino significava degradarsi: gli unici che non sembravano suscitare il disprezzo del padre erano gli innominati reclusi del Penitenziario, quella fortezza che in alto dominava il paesaggio, quasi come un monito silenzioso. Il padre va a Napoli a sposarsi e torna con una nuova madre ma Arturo la rifiuta, lei rappresentava solo il Dovere, era sacra perché l’aveva scelta suo padre, ma Arturo non la chiamerà mai in nessun modo: il loro sarà sempre un rapporto ambivalente, è infastidito dalla sua ingenuità e dalla sua arrendevolezza, la considera come un “oggetto indegno”, le parla di imprese fantastiche suscitando la sua ammirazione, carte azzurre su cui Arturo disegnava itinerari che le sembravano spaventose e piene di insidie ,ma si sente trascurato e irritato verso la matrigna che lo turba, non voleva da lei né cure né attenzioni, ma prova amarezza per essere considerato un ragazzino. La nascita del fratellastro, che Nunziata chiamerà Carmine Arturo, farà nascere un legame tra di loro e una ”capricciosa allegria che mi invadeva il cuore”, ma anche una profonda gelosia, perché vede un altro possedere una felicità da lui sempre rimpianta e dei baci che egli non ha mai ricevuto. Avrebbe voluto che Nunziata si occupasse di lui, ma era orgoglioso, doveva punirla, prende un sonnifero per un finto suicidio e dorme per più di un giorno: lo struggimento e la rabbia che prova per lei si trasforma in un’attrazione, ma lei ne è spaventata. Un momento fondamentale per lui sarà l’incontro con suo padre, che torna sull’isola dopo tanto tempo: è stanco e invecchiato, ma Arturo è colpito dallo sguardo che Wilhelm rivolge a un giovane ergastolano che lo guarda con indifferenza, che scatena nuovamente la sua gelosia. Alla fine, combattuto tra l’amore che prova per la matrigna e la gelosia per suo padre, decide di abbandonare la sua isola, accompagnato dal suo balio Silvestro, la persona che in silenzio si è sempre presa cura di lui.

Letture da riscoprire: L’isola di Arturo | a cura di Ilde Rampino


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