Popolari, Giuseppe De Mita: in campo con un’idea di Italia

L'INTERVISTA. L'ex deputato annuncia la sfida elettorale alle amministrative in un momento cruciale del confronto politico nazionale: "Gli interventi spot non servono di fronte alla questione sociale esplosa con la pandemia, serve il progetto"

I Popolari a Napoli e in Calabria saranno protagonisti alle elezioni amministrative e regionali per dare voce alla politica che non nasconde i problemi, ma li affronta proponendo soluzioni. Lo dice Giuseppe De Mita, già deputato oggi dirigente dei Popolari. L’emergenza sanitaria ha accentuato la crisi politica ed economica, rendendo perentoria la necessità di una svolta democratica. L’attivismo dei vescovi delle aree interne in Campania e in Italia di fronte all’assenza dei partiti, la crisi della politica e la delegittimazione della democrazia rappresentativa caratterizzano l’attuale fase storica del Mezzogiorno e del Paese. Per Giuseppe De Mita, in assenza di una inversione di rotta per recuperare il binario delle libertà e della tutela della libertà, il conflitto sociale rischia di trovare riparo in nuove forme di totalitarismo.

Giuseppe De Mita

I Vescovi della Campania interna da oltre un anno richiamano l’attenzione delle istituzioni e della politica sullo spopolamento delle aree interne, segnalando una questione sociale epocale promuovendo un Forum permanente. Perchè su questi temi la Chiesa ha preso il posto della politica?

“I vescovi hanno assunto il ruolo di supplenti e, sebbene potremmo definire questa iniziativa un surrogato dell’attività politica, è indiscutibile che sia tesa a colmare un vuoto. Dunque il Forum in programma per la prossima primavera è una iniziativa importante di cui si avverte la profonda necessità. Se guardassimo ad una dimensione più superficiale, legata ai processi amministrativi, sarebbe impropria, in quanto non è compito dei vescovi richiamare l’attenzione sul tema, ma della politica. Evidentemente c’è un vuoto da colmare. Qui è d’obbligo aprire una riflessione sui soggetti che sono naturalmente titolati, ovvero i partiti. Un segnale che arriva da partiti come il mio che ha le sue idee ma non una dimensione organizzativa; e i partiti organizzati che invece confermano una presenza formale.

La questione dell’impoverimento umano ed economico delle aree interne è stata presa in carico anche dai vescovi di altre regioni italiane.

Il tema sollevato dai vescovi non è marginale è apre un ventaglio di questioni, anche in relazione agli aspetti sociali legati al Covid, perchè diventa un riferimento ad una modalità di organizzare la vita delle persone. Continuiamo a coltivare la visione illuministica che il vaccino ci riporterà come prima, ma temo che non sarà così. Bene fanno i vescovi ad aprire una riflessione su un’istanza morale che è alla base della democrazia. Non si tratta di un tema di natura confessionale, ma che tocca la vita delle persone: la giustizia sociale e l’uguaglianza non è l’esito di una istruttoria o di un processo tecnico, ma dipende da una gerarchia di valori”.

Gli amministratori hanno smarrito il senso della politica?

“E’ utile e interessante che i soggetti sensibili a questa dimensione umana pongano agli amministratori e alla politica l’esigenza di riflettere sulle basi morali e sulla nuova condizione della società, a cui il Covid ha solo dato una spallata definitiva. Senza contare che Monsignor Accrocca è stato nella giovanile della Dc e ha conosciuto la dimensione della carità, non solo in veste di pastore, ma anche attraverso l’impegno politico. Mi auguro che si faccia carico insieme agli altri vescovi e al Vescovo Cascio – persona di grande sensibilità politica – di interpretare operativamente gli impulsi del Papa e della amicizia sociale menzionata nell’ultima Enciclica.

Il riferimento a Papa Francesco come guida spirituale e faro nell’ora più buia è una costante. Non solo in qualità di Vescovo di Roma, ma anche per l’efficacia con cui evidenzia i limiti dei modelli rappresentativi dell’ultimo decennio. È d’accordo?

“In realtà si tratta di un fenomeno di lungo corso e alcune forme esperienziali le abbiamo vissute con il craxismo, ma anche col berlusconismo, quando la dimensione del singolo è divenuta esponenziale, ed è stata affievolita la comunità. La progressiva individualizzazione della società è un fenomeno che non ha una scontata radice negativa: la dimensione individuale è appropriata quando cresce di pari passo con il senso di responsabilità. La torsione di questo principio negli ultimi anni ha portato ad un accrescimento della libertà individuale a cui non ha corrisposto una dimensione della responsabilità. La chiesa cattolica apre la riflessione su questo”.

Cosa ha messo in evidenza la pandemia in questi mesi?

“Il crollo del mito del benessere e dell’edonismo. Nella prima fase abbiamo assistito al risveglio della solidarietà, ma quando abbiamo capito che le difficoltà non avrebbero avuto vita breve e che avrebbero richiesto fatica nei comportamenti, allora ha prevalso la chiusura egoistica. Oggi siamo davanti ad un bivio: da una lato c’è la strada per ripensare agli ultimi 30 anni e introdurre un cambio di paradigma; dall’altro c’è la esasperazione della condizione individualistica”.

Alla luce della frammentarietà e della debolezza dei partiti e di tutti i corpi intermedi, chi e in che modo può aprire una riflessione per avviare un cambio di paradigma?

“In politica si manifestano le culture. Senza un partito si organizzano i voti e il consenso, ma non incidono i processi. I principali partiti in Italia – Pd, Movimento 5 Stelle e Lega – sono senza armi culturali. la povertà del dibattito sul Recovery Fund è legata a questo: ogni cultura politica ha la sua gerarchia di valori, molti pensano solo a soluzioni tecniche senza un retroterra culturale. Penso all’introduzione degli 80 euro per garantire equità, al Reddito di Cittadinanza e a Quota 100: tutte misure che non hanno fatto ricorso a nessuna cultura politica.

Continui.

“L’errore ha avuto origine alla fine degli anni ’90 quando per contrastare il populismo berlusconiano le altre forze politiche lo hanno riprodotto. Il presidente del Censis De Rita nel 2008 contestò a Veltroni di avere proposto col Pd una immagine riflessa del berlusconismo. Abbiamo avviato un processo di rimozione – rottamazione – nascondendo i problemi senza eliminarli. Oggi siamo nello stesso scenario di tangentopoli, ma involgariti”.

I fatti registrati a Washington nelle ultime ore testimoniano la grave crisi della democrazia rappresentativa. L’Italia è riuscita a specchiarsi in quello che è accaduto negli Stati Uniti?

“Parlare di specchio è improvvido. Quello che è accaduto era nella logica degli eventi. Lo svuotamento delle istituzioni è stato progressivo ed è partito fin da quando è stato fatto passare il messaggio che il Governo si potesse affidare a chiunque tramite sorteggio. Lo svuotamento della rappresentanza però porta a esiti imprevedibili e quanto accaduto in America non mi fa stare sereno. Se non ci sarà una inversione di rotta sotto il profilo culturale e delle basi morali della democrazia è possibile che le ombre si allunghino”.

Il logoramento delle istituzioni altera i sistemi democratici verso sistemi totalitari.

“In un discorso tenuto a Bruxelles nel ’49 De Gasperi spiegò che l’avvento del fascismo era avvenuto sulla base di uno scambio fatto dalla società italiana in un momento di crisi economica e incertezze. Ci fu un baratto: più sicurezza in cambio della libertà. Anche oggi siamo pronti a barattare sulla sicurezza, i migranti, la povertà. Ma la democrazia non è un processo burocratico e se non si ricostituisce il binario delle libertà e della tutela delle libertà, l’avvenire sarà costellato da una serie di eventi destabilizzanti”.

Qual è il compito della politica in questo scenario?

“Gestire i conflitti; comprenderne l’origine storica e capire quale direzione culturale prendere. Dovremmo fare riferimento agli esempi, che sono il nostro passato, i nostri vecchi, chi ha esperienza. I saggi vengono percepiti come un fastidio, basti pensare a come vengono considerati durante la pandemia, ma la prima oasi da cui attingere acqua è a portata di mano. Abbiamo tanti micro fenomeni positivi e testimonianza di amicizia sociale che però stentano a fare massa critica. La politica è pronta ad attingere a questa nuova linfa percepita dal basso, per interpretare la voglia di riscatto e tradurla in istanze: abbiamo bisogno di una scintilla culturale per appiccare il fuoco”.

Così le aree interne, da punto di debolezza, ambiscono a diventare punto di forza e a ribaltare la dicotomia della polpa e dell’osso proposto da Rossi-Doria.

“Già nel 2000 introducemmo una traduzione differente, interpretando l’osso come un vuoto da rivalutare e il terreno in cui creare le condizioni per mitigare le difficoltà del ‘pieno’. Oggi questo è ancora più vero. Le aree ai margini dei classici processi produttivi offrono un ripensamento delle condizioni di vita e dei processi economici. La questione delle aree interne è la rivendicazione di aree marginali che chiedono attenzione dal centro, ma diventano strumento per la riorganizzazione delle nostre condizioni di vita”.

Da dove bisogna partire?

“Dall’offrire soluzioni alle persone, cura individuale, e organizzazione delle condizioni per produrre valore economico. Lo smart working è una opportunità e oggi possiamo organizzare dei luoghi collettivi per tante aziende diverse. Offriamo condizioni ambientali migliori, circolo dell’economia locale e vantaggi per le imprese. Il modello italiano inizia a godere di attenzione anche all’estero e c’è chi fra gli imprenditori immagina di poter investire in tal senso. Già in qualità di assessore provinciale, in occasione della stesura del Piano Teritoriale di Coordinamento Provinciale, sono stati adottati modelli di sviluppo che guardano alla città rurale, con agglomerati di comuni. Non è un caso che l’Alta Irpinia sia inserita nel progetto pilota della Strategia Nazionale”.

Si lascia spazio all’iniziativa privata o la politica farà la sua parte?

“Finora ci siamo posti con il dialogo garbato, ma ora rivendichiamo maggiore attrito: non come aree di povertà, ma per dimostrare di poter sostenere anche gli altri. E’ necessaria una spinta maggiore di tutte le forze che vogliono testimoniare amicizia sociale, per contrastare la tendenza alla chiusura e all’egoismo. Chi ha intuito la soluzione la deve rivendicare con forza. Il piano storico ci insegna che i nuovi problemi sollecitano la nascita di nuove organizzazioni politiche”.

Registra fermento in tal senso?

“C’è una quantità di fenomeni e di iniziative associative che fanno riferimento alla cultura del popolarismo. A diverse latitudini in Italia e all’estero i ragazzi si fanno portavoce dei valori della persona, della dignità, della libertà conquistata; questo rappresenta una possibile risposta e può diventare un fenomeno aggregativo significativo”.

A che punto è invece il progetto politico dei popolari in provincia di Avellino annunciato dopo le regionali in Campania?

“Il lavoro che stiamo facendo come Popolari è questo: con Fare Democratico abbiamo esportato il progetto politico in altre regioni e puntiamo a costruire una rete solida dei popolari. Mi sorprende vedere tante piccole iniziative che aspirano a costruire una rete di relazioni più avanzate. Se questo fenomeno prende forma potrà assorbire il progetto politico dei Popolari, e potrebbe essere formattato per qualcosa che va più avanti. Quest’anno ci attendono sfide importanti: dalle regionali in Calabria alle amministrative a Napoli i Popolari saranno presenti con una lista”.


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