Carmine Sanseverino, il medico sopravvissuto al calvario del Covid-19: «Investire in ospedali e medicina territoriale»

INTERVISTA AL CHIRURGO D'URGENZA DEL MOSCATI APPENA TORNATO A CASA. Dopo quattro mesi di degenza ringrazia «la lungimiranza del Moscati per il centro coronavirus nella palazzina Alpi e auspica un rafforzamento ulteriore della sanità pubblica»

Il medico chirurgo avellinese Carmine Sanseverino ha vinto il Covid-19 dopo un calvario di 100 giorni, 60 dei quali in terapia intensiva nella struttura Alpi del Moscati. Il medico avellinese è sopravvissuto al prezzo di indicibili sofferenze, ma porta i segni di una esperienza terribile. «Investire in ospedali e medicina territoriale» è il suo monito, mentre ricorda che il coronavirus ha colto impreparata la Sanità in Campania e in Italia, dopo anni di tagli. Carmine Sanseverino è stato appena stato dimesso, ma il suo percorso verso la completa riabilitazione non è finito. Lo attende una nuova fase di terapia domiciliare prima di potersi riprendere completamente dalla conseguenza della malattia. Oggi parla della pandemia nella doppia veste di paziente e di medico.

Carmine Sanseverino

UN MEDICO PAZIENTE. Sanseverino ha vissuto da medico e paziente i tragici mesi della pandemia, rischiando in prima persona prima nelle corsie dell’ospedale, poi da vittima di un virus che ha colpito tante professionalità in prima linea in ospedale. A quattro mesi di distanza Carmine Sanseverino porta ancora i segni del Covid, dalle scottature in volto per l’utilizzo delle mascherine alla fragilità degli arti inferiori. Ad oggi non teme una nuova impennata di casi, nè un rafforzamento del virus con l’arrivo dell’autunno, a patto di prepararsi. Spera nell’arrivo di un vaccino, ma nel frattempo auspica maggiori investimenti nel comparto sanitario e il coinvolgimento della medicina territoriale. “Se siamo stati costretti a dire ai pazienti di curarsi a casa con tutti i rischi del caso è perchè non c’erano abbastanza posti letto e reparti attrezzati in ospedale. Questo ha comportato anche decessi e bisogna lavorare perchè non accada più” ha spiegato a Nuova Irpinia.

«TROPPI TAGLI ALLA SANITÀ IN PASSATO». Alla luce dell’esperienza vissuta, per Sanseverino non è possibile parlare di “errori nella sanità” sulla gestione dell’emergenza da Coronavirus. “In provincia di Avellino non si è costruito un nuovo ospedale, avendo la possibilità di adeguare una palazzina già esistente ma non completata” ha spiegato. “Il problema è a monte: in Italia gli investimenti nella sanità pubblica sono diminuiti sensibilmente, relativamente ai posti letto, alla chiusura di reparti. Oggi la percentuale di posti letto assegnata per numero di abitanti è assai inferiore rispetto alla media europea. Se ci riferiamo all’Irpinia invece, possiamo affermare che è stata rincorsa l’emergenza come in qualunque parte d’Italia: sono stati presi provvedimenti dopo i casi di sofraffollamento, c’è stato il caso di Ariano Irpino e si è gridato all’errore quando però non era stata ben compresa la gravità del fenomeno. Non eravamo pronti, come nel resto d’Italia e del mondo” puntualizza.

Pronto Soccorso dell’Ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino

«CON L’EMERGENZA RESTITUITI AL MOSCATI PARTE DEI POSTI LETTO TAGLIATI IN PASSATO PER DECRETO». Sanseverino evidenzia infatti la capacità di posti letto oggi registrata al Moscati. “Il nostro ospedale è stato progettato oltre 30 anni fa in Contrada Amoretta e prevedeva una capienza di circa 900 posti letto. Poi le varie disposizioni negli anni e i tagli subiti, si è arrivati a meno di 500 posti: una scelta che ha dato la possibilità di attrezzare gli spazi vuoti ma anche di guardare altrove e sfruttare quello che non era stato completato. L’edificio costruito sempre a scopo sanitario si è ben prestato alla riconversione; in pochi giorni l’ex Alpi è stato attrezzato per il Covid, tale da garantire la sicurezza nell’ospedale e quindi le cronicità e le acuzie ordinarie. L’ex Alpi è stato previsto negli anni ’80 quando l’epidemia da combattere era l’Aids e si pensò ad un tubercolosario fuori dalla portata del vecchio ospedale. Io stesso sono stato un utente di quel palazzo, dove è stato consentito ai pazienti non Covid di accedere alle cure ordinarie, seppure con tutte le difficoltà del caso” continua.

Il reparto Covid-19 nel padiglione Alpi, all’interno della Città Ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino

«ACCANTO ALL’OSPEDALE SERVE LA MEDICINA TERRITORIALE». L’anello mancante del sistema che oggi ha acclarato la necessità di programmare nuovi investimenti resta la medicina territoriale. Un anello che avrebbe dovuto compensare la riduzione dei posti letto negli ospedali e rafforzare la capacità di fare rete sui territori da parte di una pluralità di attori, che a tutt’oggi stentano a coordinarsi sotto un’unica regia. “La medicina territoriale dovrebbe occuparsi delle patologie di chi non ha accesso agli ospedali, ma purtroppo non c’è mai stato un investimento in tal senso e tutto si continua a riversare sugli ospedali, dalle cronicità alle acuzie. Questo significa che gli ospedali lavorano in affanno, fra medicina d’urgenza e pronto soccorso. La crisi però non si risolve con un potenziamento dei pronto soccorso, ma con il miglioramento del sistema extra ospedaliero, che dovrebbe filtrare efficacemente gli accessi”. La medicina territoriale viene evocata ma non è oggetto di pianificazione, spiega. Le disposizioni illustrate di volta in volta nei piani sanitari regionali restano “leggenda” e le proposte innovative stentano a trovare una vera operatività. Indebolite e superate le Uccp, che prevedevano l’allestimento di maxi ambulatori gestiti dai medici di base, si attende la nuova organizzazione. “C’è ritrosia a cambiare abitudini e la resistenza però non arriva solo dai medici di base ma da tutto il sistema in generale. Qualche regione sta già sperimentando le ‘case della salute’ con un potenziamento dei servizi territoriali aperti in orario diurno e festivi. C’è in piedi anche l’ipotesi di un consorzio dei medici, ma il sistema è da valutare. L’importante è evitare di tornare indietro, con l’emergenza in affanno e il sistema al collasso. Le pandemie e le epidemie ci saranno sempre, ma dobbiamo garantire a tutti la possibilità di cure e arginare i decessi”.


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