Nicola Zingaretti

Il nuovo segretario nazionale del Pd presenterà il 17 marzo il progetto politico per l’alternativa alla Destra. Nicola Zingaretti in queste ore a Torino ha scavato su Tav e infrastrutture, simboli di un’idea europea dello sviluppo economico, il solco con i 5 Stelle. E nel contempo, schierandosi con il Governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, ha affiancato un autorevole esponente di quella che fu la stagione dei Sindaci ulivista iniziata venticinque anni fa per un decennio di successi. A Torino, dove iniziò l’avanzata grillina e il declino del Pd, ha lanciato segnali chiari. Nessun inciucio con i pentastellati, ma ricostruzione della democrazia italiana basata sull’alternanza tra riformisti e conservatori.

A poche ore dalla sua elezione, il segretario dei Democratici mette in pratica ciò che ha detto in un passaggio importante del suo discorso pronunciato a caldo, non appena conosciuto l’esito delle primarie: “Questo nuovo Pd sarà fondato su due parole: unità e ancora unità, cambiamento e ancora cambiamento”. E ancora: “Io non mi intendo capo, ma leader di una comunità in campo per cambiare la storia della democrazia italiana” e “il Pd sarà unità e ancora unità, cambiamento e ancora cambiamento”.

Parole d’ordine assimilate e avallate dall’intero gruppo dirigente vecchio e nuovo, da Matteo Renzi a Maurizio Martina, da Dario Franceschini a Romano Prodi, il padre nobile del Pd, nei pressi del quale l’ex Premier nel 2016 ha montato la sua tenda.

C’è qualcosa di più importante in gioco, che le sorti di un partito o di uno schieramento, la stesse sorti della democrazia italiana, quindi della Repubblica, è il concetto portante della sua campagna per primarie che molti commentatori hanno definito ‘dell’Italia’.

Questa è la cornice dentro la quale in ogni provincia, all’interno di ogni singolo territorio, gruppi dirigenti locali e territoriali devono inquadrarsi.

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca

IL GOVERNATORE DE LUCA (MESSO IN MINORANZA A NAPOLI E IN CAMPANIA) RICONOSCE IL NUOVO CORSO. Schierato con Maurizio Martina, il Governatore della Campania Vincenzo De Luca ha incassato da Nicola Zingaretti la sua prima sconfitta dal 2015, da quando ha conquistato la presidenza della Giunta regionale della Campania. Con il 55 per cento ottenuto dal Governatore del Lazio, in attesa della certificazione della commissione per il congresso, Zingaretti si è imposto con il voto popolare contro il gruppo dirigente del partito campano, che nella quasi totalità aveva fatto quadrato attorno all’ex numero 2 di Matteo Renzi. Al 55 per cento di Zingaretti ha risposto il 35-40 di Martina. Con una affluenza pari a 149mila votanti, leggermente inferiore al 2017,  sono Napoli e a Caserta ad aver sostenuto Zingaretti, mentre Martina si è imposto di misura nelle province di Avellino, Benevento e Salerno. A Napoli e provincia, dove si raccoglie oltre un terzo degli elettori dei gazebo, dei 54.800 votanti il 51,4 per cento ha scelto il neo segretario, mentre Martina si è fermato al 38,5% con Giachetti all’8,6 per cento. Se è vero, come qualche titolo di giornale ha erroneamente proclamato, che il nuovo segretario regionale Leo Annunziata è quello voluto e sostenuto da Vincenzo De Luca, è anche vero che ha racolto voti esterni all’area che ha sostenuto Martina. Per il Governatore della Campania un segnale chiaro certamente già colto: i numeri delle elezioni non li decidono i dirigenti dei partiti o la nomenklatura provinciale, ma la gente, che in Italia dimostra puntualmente di rifiutare imprimatur e condizionamenti, a costo di far saltare il banco, come è accaduto nel 2018 a vantaggio del Movimento Cinque Stelle. Il Governatore, dal canto suo, ha riconosciuto la portata della affermazione di Zingaretti, definendola come ls potenziale svolta per l’Italia. Una disponibilità a collaborare, insomma, che Zingaretti aveva peraltro offero l’estate scorsa al Presidente della Campania. Sul piano politico la base chiede una coalizione larga e in grado di unire l’area che fu del Centrosinistra. A Napoli ci sarà molto da lavorare.

Il segretario del Pd di Avellino, Giuseppe Di Guglielmo

AVVISO ALLA SEGRETERIA DI VIA TAGLIAMENTO. Ad Avellino e in Irpinia la vittoria di Nicola Zingaretti è destinata ad avere conseguenze molto più profonde. Se per il Governatore è un segnale che aprira nuovi scenari sull’asse tra Napoli e Roma, ad Avellino si certifica la fine del congresso contestato del 2018. Oggi i numeri chiudono definitivamente la querelle che ha accompagnato la gestazione e la nascita degli attuali organismi, frutto della partecipazione al voto di una piccola minoranza di iscritti. Se fino ad oggi quel congresso aveva lasciato fuori da via Tagliamento circa 12mila iscritti su 17mila, permanendo dopo queste primarie escluderebbe oltre un milione di elettori del Pd in Italia. Guardando agli stessi dati in provincia, pur ottenendo la maggioranza relativa di pochi punti, l’area Martina sostenuta anche dai decariani che sono all’opposizione dell’attuale segreteria, il gruppo dirigente in carica è ampiamente sotto il 50 per cento. Questa situazione non è più gestibile secon un’ottica localistica, perchè si pone in contrasto con la piattaforma del partito di oggi. Le primarie hanno cancellato i tempi del commissario David Ermini, ma anche i tempi in cui su favoleggiava di collegi allargati a macroaree irpino sannite. Nei Comuni ormai prossimi al voto occorre un partito aperto, che sappia porsi al servizio dei fermenti, delle idee e delle forze presenti sui territori. Nelle prossime ore toccherà a chi detiene maggiore responsabilità nello schieramento che sostiene questa segreteria aprire un confronto per realizzare una soluzione unitaria. Viceversa si esporrà al rischio, sarebbe la seconda volta in due anni, di vedersi imporre soluzioni da Roma.

IL VULNUS DEL RICORSO ORMAI ANNULLATO DALLE ALLEANZE.  In queste ore c’è chi ancora solleva la questione del ricorso presentato contro il congresso provinciale come pregiudiziale per un possibile percorso unitario. La questione è superata al di la delle stesse parole pronunciate dall’allora candidato alla segreteria Michelangelo Ciarcia, che ha dichiarato esaurito quel tentativo. Ma lo è anche alla luce delle convergenze realizzate nel sostegno al candidato Maurizio Martina. Ricorrenti e resistenti in caso di elezione di Martina si sarebbero trovati in maggioranza, mentre oggi sono (insieme) in minoranza. Peraltro, il ricorso non ha prodotto esiti concreti, mentre in via Tagliamento fino ad ora non si è mai avvertita l’esigenza di recuperare il rapporto  con le migliaia e migliaia di iscritti, militanti, simpatixxanti ed esponenti politici che in ultima analisi sono stati lasciati fuori.

PD A SOLI DUE PUNTI DAI 5  STELLE. Le primarie hanno immediatamente avuto un riflesso tangibile sul consenso del partito nei sondaggi. Secondo la rilevazione compiuta da Swg per il Tg La7 all’indomani della elezione di Nicola Zingaretti il Partito democratico sale al 19,8%, oltre un punto in più delle elezioni politiche di un anno fa. Il M5s in flessione al 22,1%. Poco più di 2 punti separerebbero dunque il partito di Zingaretti da quello di Di Maio.


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