La sede dell'Alto Calore Servizi in corso Europa ad Avellino. Il particolare degli uffici di presidenza

Il Comune di Altavilla Irpina ha diffidato l’Alto Calore Servizi dal mettere in atto la ricapitalizzazione della società e l’eventuale apertura a soci esterni, sollecitando il presidente Michelangelo Ciarcia  ad aprire un confronto con la Regione, per il recupero di presunti crediti vantati per l’esecuzione, in tutti questi anni, di lavori sulla rete idrica di proprietà di Palazzo Santa Lucia e per i costi di gestione delle infrastrutture.

Sindaco, perché ha chiesto che non si proceda con il piano di ristrutturazione aziendale?

«La strada scelta è sbagliata. Così si deprezza un patrimonio pubblico e le singole quote dell’azienda oggi detenute dai Comuni, facendo entrare nella compagine sociale un privato, il cui obiettivo non coinciderà di certo con quello della comunità. Peraltro, l’aumento di capitale non risolverà i problemi finanziari dell’Alto Calore, perché non interviene nella gestione corrente, che è il vero punto debole. Ciò significa che tra qualche anno si ripresenterebbe la questione».

Il Sindaco di Altavilla Irpina, Mario Vanni

Se non si interviene con urgenza, almeno è quanto sostengono a Corso Europa, si andrà incontro al fallimento della società, con tutte le conseguenze del caso, a cominciare da quelle occupazionali. Come replica?

«Ritengo che a tutti i sindaci stiano a cuore le sorti dell’Acs. Ma francamente non si comprende questa fretta, l’improvvisa accelerazione data, mentre nel Paese si aprono prospettive diverse, a tutela della gestione pubblica, in linea con l’esito referendario, di un bene essenziale come l’acqua. E’ un atteggiamento sospetto, che induce a pensare che si vogliano creare il clima e le condizioni per aprire le porte ai privati. All’amministratore unico, invece, chiediamo che si valutino tutte le opzioni possibili».

Gli altri sindaci hanno però già dato un primo via libera all’operazione di ricapitalizzazione.

«Diversi sindaci tra quelli che hanno votato a favore della proposta nell’assemblea dei soci, successivamente non hanno approvato in consiglio comunale il provvedimento, non avendo ricevuto parere favorevole da parte dei tecnici. Anche gli stessi dirigenti dell’azienda idrica non hanno validato la delibera del 30 luglio. La responsabilità di eventuali decisioni quindi ricadrebbe sui singoli consiglieri e sui soci».

In alternativa cosa propone?

«Di aprire una vertenza con la Regione, per il recupero di crediti relativi alle spese sostenute impropriamente dall’Alto Calore nella manutenzione delle adduttrici, su una loro proprietà. La questione non è affatto campata in aria. Ci sono normative, sentenze e provvedimenti dei precedenti consigli di amministrazione che andavano in questa direzione. Non si comprende perché sia stato tutto congelato».

In effetti della proprietà delle reti si è parlato, non senza incertezze, anche in passato.

«La questione delle reti è acclarata. I 4.550 chilometri della rete di adduzione furono realizzati con l’intervento della Cassa del Mezzogiorno. Quando questa fu soppressa, la proprietà venne trasferita, insieme agli impianti connessi, alle Regioni, in base al decreto del 4 agosto 1983 del Ministero per gli interventi straordinari del Mezzogiorno, recepito dall’articolo 6 della legge regionale n.183 del 1976. Successivamente, la Corte costituzionale ha ribadito il divieto di cessione e di mutamento della destinazione d’uso delle reti idriche».

Quanto hanno pesato le spese di manutenzione della rete?

«Al di là dei giudizi che si possono esprimere sulla gestione dell’Acs, il vero problema è proprio la gestione di queste opere. Non solo i lavori effettuati su infrastrutture ormai malconce e da riqualificare, ma anche i costi per il sollevamento e la distribuzione dell’acqua, che mentre per gli altri gestori della Campania incidono per non oltre il 16% delle spese complessive, nel caso dell’Alto Calore superano il 35%. Un aggravio di cui si fa carico soltanto la nostra azienda».

Come mai?

«Nelle altre realtà territoriali la Regione gestisce direttamente le infrastrutture e, tramite la società Acqua Campania, vende l’acqua all’ingrosso agli operatori, a costi più bassi dei nostri, pari a 25 centesimi a metro cubo. Addirittura alla società partenopea Abc a 6,9 centesimi e a Sele a 7,5 centesimi. Oggi, quindi, l’Acs, la provincia di Avellino, la parte di Benevento servita dall’azienda, ed i cittadini utenti su cui ricadono i costi, vivono una condizione di assoluto svantaggio, peraltro in un territorio ricco di acqua e che la cede agli altri, senza nemmeno un ristoro ambientale. Bisogna quindi intervenire, salvaguardando i nostri interessi».

La targa all’ingresso del palazzo che ospita la Giunta Regionale della Campania, nella suggestiva zona napoletana di Santa Lucia

Concretamente in che modo?

«Chiedendo alla Regione di farsi carico delle sue infrastrutture ed optando per una gestione esclusivamente distributiva, senza l’onere dell’impiantistica. Dico di più: va aperto in maniera chiara e definitiva un confronto per la tutela delle fonti e del patrimonio idrico dell’Irpinia. Altro che regalo della Regione all’Alto Calore, come vogliono far credere a Palazzo Santa Lucia, con lo stanziamento di finanziamenti per la riqualificazione delle reti. Si tratta di loro proprietà, di cui debbono farsi carico. Il regalo piuttosto lo hanno fatto ad altri gestori, ad esempio, nel 2013 (durante il mandato della giunta Caldoro n.d.r.) alla Gori Spa, alla quale con una deliberazione denominata appunto “salva Gori” hanno prima scontato di circa 80 milioni di euro il debito accumulato e poi dilazionato gli ulteriori 220 milioni in 20 anni».

Proviamo, quindi, a fare i conti per quel che riguarda l’Alto Calore. Quale sarebbe l’alleggerimento in bilancio, nel caso in cui si trasferissero reti e relativi costi alla Regione?

«Dalle risultanze dell’analisi effettuata dallo studio Pozzoli, nella società Acs la situazione economica allo stato si presenta in equilibrio, in quanto i ricavi coprono interamente i costi. La gestione finanziaria invece presenta un deficit di 9 milioni di euro all’anno, pari al valore della morosità che supera il 20% del fatturato dell’acqua. A conti fatti, i risparmi che verrebbero generati compenserebbero interamente il deficit, consentendo il risanamento finanziaria dell’azienda. Ma c’è dell’altro».

Dica pure…

«In caso di ingresso di privati nella compagine sociale dell’Acs non sarebbe più possibile un affidamento in house del servizio ed inoltre diventerebbe necessario uno sdoppiamento della società, per distinguere i rami d’azienda. Insomma, un ritorno al passato».

In conclusione, come bisognerebbe procedere?

«Fermare il percorso avviato ed aprire un ragionamento tra l’amministratore unico dell’Acs ed i Comuni soci, che finora non c’è stato. Ci si è limitati a propagandare la proposta della ricapitalizzazione. E’ mancata la fase di ascolto. Dopo di che sarebbe opportuno istituire un tavolo, anche con la presenza del prefetto e, come dicevo, aprire la vertenza con la Regione».

 

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