Il segretario nazionale del Pd, Maurizio Martina alla Festa de L'Unità di Firenze

C’è qualcosa di teatrale nel confronto interno al Pd nazionale a sei mesi dalla sconfitta del 4 marzo scorso. C’è qualcosa che rimanda la memoria alle letture di Čechov, in particolare le famose “Tre sorelle”, dramma teatrale capolavoro del celebre scrittore russo. A proposito di questo testo, diceva Luca Ronconi in un’intervista a «Il Giornale» pubblicata il 5 marzo 1989: «Le tre sorelle sono «donne che vivono il loro tempo personale (anche quando pensano al passato, al presente o al futuro), che esprimono aspirazioni in gran parte velleitarie, che pensano a progetti di vita sbagliati perché non trovano una reale corrispondenza in quella che è la loro natura». Vagheggiano una visita a Mosca che non faranno mai, attendendo che il loro tempo scorra via indolentemente.

Nella natura delle sorelle Olga, Mascia e Irina c’è l’attuale fase dialettica del Partito Democratico nazionale. La nostalgia per ciò che solo pochi mesi fa ancora poteva essere, le aspettative rese velleitarie dalla mancanza di un’azione collegata ad un pensiero lungo, un presente intangibile e inconsistente, caratterizzano il gruppo dirigente più esposto e visibile, quello che assomma le responsabilità del momento.

Il segretario del Pd, Maurizio Martina, firma la proposta di legge per istituire un’ora di educazione alla cittadinanza a scuola

La “Mosca vagheggiata” dal segretario Maurizio Martina, dai capigruppo e dalla nuova nomenklatura parlamentare spinta davanti alle telecamere di tv e media digitali è rappresentata dal miraggio della rottura tra le forze di governo, il cui antagonismo, sapientemente orchestrato per giustificare le indecisioni sull’attuazione del programma, viene scambiato per debolezza.

Le vicende giudiziarie, le polemiche sui rapporti internazionali difficili con la comunità internazionale, in particolare atlantica ed europea, uno spoils system disinvolto per usare un termine soft, le intromissioni a gamba tesa sulla reputazione di alcune imprese come Autostrade per l’Italia o Mps a mercati aperti, le fughe in avanti e le marce indietro su tante questioni, dai vaccini ai conti pubblici, alla previdenza, non sono bastate fin qui per mutare il trend dei sondaggi. Anzi…

E a proposito delle rilevazioni che «continuano a dare a M5S e Lega assieme oltre il 60 per cento dei consensi», Matteo Renzi ha commentato su Radio Capital: «Anche la mia esperienza dice che il vento del consenso cambia rapidamente».

Considerazione amara o un modo per darsi coraggio?

Accanto ai Martina, ai Delrio ai Marcucci, anche l’ex segretario e premier si rifugia nel mantra del «…tanto il vento cambierà».

Ma se nell’induismo una frase o una formula viene ripetuta molte volte come pratica meditativa, questo mantra è un esercizio vano nel contesto inedito di oggi: negli ultimi settant’anni mai il sistema istituzionale (salvo poche eccezioni)  è stato appannaggio di culture politiche che non hanno partecipato alla scrittura dei princìpi costituzionali.

«In tanti in queste ore mi hanno detto di aver ritrovato nelle mie parole ‘unità e riscatto’ uno spirito di comunità e di orgoglio che forse abbiamo dimenticato troppo a lungo, dopo la sconfitta del 4 marzo», ha scritto in queste ore sulla newsletter di Areadem Chiara Braga, citando le parole pronunciate dal segretario Maurizio Martina a Ravenna, concludendo la Festa de L’Unità.

Il mantra di Martina è ‘riscatto e orgoglio’. Tutto qui? Forse un orizzonte possibile, che richiede una compartecipazione popolare, partendo dal basso, iniziando a liberare un partito tenuto in ostaggio sui territori in troppi casi.

«Ma dove siete finiti? Dov’è il Pd nelle nostre città?», ha chiesto uno storico militante di Como alla Braga, incontrandola per strada.

«Dalla capacità di tornare ad ascoltare, di metterci in discussione, abbandonando definitivamente i toni muscolari e le espressioni che tradiscono un’idea della politica che ci rende troppo simili a chi diciamo di voler contrastare: nessuno vuole ‘liberarsi’ di nessuno ma ognuno dovrebbe capire che mai come ora c’è bisogno del contributo leale e generoso di tutti», prosegue Chiara Braga.

Matteo Renzi al Teatro Carlo Gesualdo di Avellino durante la campagna referendaria del 2016

Matteo Renzi dà appuntamento in piazza il 30 settembre per dire «basta con la rassegnazione nel Pd, in piedi, al lavoro e basta polemiche interne», spiega chiarendo che  «è solo una barzelletta che non vogliamo fare il congresso a febbraio», perché «…quando si fa il congresso lo decide Martina».

L’ex premier, nel comunicare che non lascerà la politica – «…non vi libererete di me», dice –  fa sapere ai Cinque Stelle che la staffetta con la Lega il Pd non è intenzionato a farla, essendo determinato a procedere con una opposizione dura.

Manifestazioni di rivalsa, buoni propositi di un rilancio del riformismo europeista che tralascia il presupposto indispensabile per una ipotetica risalita: la riconquista del consenso, che nell’area un tempo del Centro e della Sinistra, scaturisce dal radicamento nei territori.

Con i media nazionali non certo favorevoli, le risorse da investire in propaganda e pubblicità ridotte al lumicino, chi può parlare al Paese nel suo complesso se non il sindaco, il consigliere regionale, il militante? Chi se non chi è classe dirigente nel riconoscimento della sua comunità?

La riscossa si invoca, come l’offerta di un nuovo programma televisivo per la domenica sera, ma di riorganizzare tra la gente non se ne parla.

Sembra ripetersi l’errore compiuto sistematicamente dopo il trionfo europeo del 2014, quando sull’onda lunga che portò al 41% si lasciò alle spalle pezzo dopo pezzo l’identità del partito forgiata da uomini e donne in vent’anni di battaglie contro il Cavaliere e, soprattutto la Lega.

Pochi ricordano anche tra gli analisti progressisti che fu Berlusconi a impedire nel 1994 alla Lega di dilagare nel Centronord, approfittando della caduta verticale della Dc. Impresa che non gli è riuscita ventiquattro anni dopo.

Ad Avellino come a Napoli o in Sicilia non è in campo un progetto di riorganizzazione del partito sui territori, tantomeno si lavora per recuperare il protagonismo di chi crede e ha creduto nel progetto di rilancio del progetto riformista.

Qualche manifestazione di meno, maggiore spinta ad aprire porte e finestre del partito nelle città e sui territori potrebbe, soprattutto nel Mezzogiorno che il 4 marzo ha spalancato il suo cuore alla sfida pentastellata, contribuire a invertire almeno in parte la tendenza.

Il titolo di un fondo di Eugenio Scalfari pubblicato sulle colonne de La Repubblica

Indici autorevoli sono puntati sul vuoto lasciato da Matteo Renzi in un Pd dove sta provando a sopravvivere a se stesso per la terza volta in meno di due anni.

Serve un congresso vero nelle città e nelle regioni prima ancora che nel Paese, se i Democratici vorranno accorciare le distanze dai milioni di elettori che hanno voltato loro le spalle.

Avellino è un luogo simbolo di questo distacco drammatico tra gli organismi dirigenti e la base. La sconfitta al ballottaggio del Centrosinistra nella città Capoluogo non sembra ancora aver convinto il segretario nazionale della necessità di uscire dall’angolo e di ripristinare le regole democratiche nella selezione del gruppo dirigente. Analogamente il discorso vale per Napoli, per la Campania, per la Liguria rossa oggi dominata dalla Lega, per il Centro Italia scivolato a Destra.

La copertina che Time dedica a Matteo Salvini.

Pantofolaio e burocratico, quello che resta del Pd irpino appare ignaro come quello nazionale della tempesta che incombe su Avellino, sull’Italia e sull’Europa, a differenza degli analisti americani di Time, che hanno dedicato una copertina ad un leader che sta «disfando l’Unione Europea», scrivono testualmente oltre Oceano.

I Democratici italiani sembrano non aver ancora colto il segno dei nuovi tempi. Non è un caso che gli americani riconoscano nel Vice premier Matteo Salvini con il suo «Prima gli Italiani», un esempio mediterraneo di trumpismo: «Il capitano che sta scuotendo l’establishment europeo e che minaccia di rovesciare un sistema politico che è stato travolto dall’ondata populista degli ultimi tre anni».

In pantofole non si cambiano Avellino, l’Italia o il mondo…

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