“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro

L’arrivo di un giovane, senza passato che irrompe improvvisamente a scompaginare le fila di un’esistenza apparente tranquilla di una sonnecchiosa cittadina ai primi del ‘900

“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro. L’arrivo di un giovane, senza passato che irrompe improvvisamente a scompaginare le fila di un’esistenza apparente tranquilla di una sonnecchiosa cittadina ai primi del ‘900. E Ibla diventa teatro di un intreccio denso di mistero che si dipana attraverso le vicende e i sospetti che circondano la farmacia Albanese, sulla piazza principale, fulcro della vita e del chiacchiericcio pettegolo dei suoi abitanti, il cui proprietario è stato sepolto con i dovuti onori, accompagnato dai notabili della città con corone di fiori, mentre le velette delle signore facevano capolino tra la folla.

Antonio Fusco, il nuovo farmacista, diventa oggetto di sospetto e diffidenza, anche perché la vedova Albanese lo ospita a casa sua: aleggia intorno a lui un malcelato senso di falso perbenismo e di ipocrita correttezza. Il Caffè 900 rappresentava un ritrovo per tutti, in cui la discrezione e il valore dato all’apparenza serpeggiavano tra tutti gli avventori. Egli doveva conquistare la stima dei suoi concittadini, ma non era facile, anche perché per il suo predecessore la farmacia era tutto; si dedicava alla preparazione di creme e sciroppi, assistito da Nenè, il tuttofare e, alla riluttanza e alla mancanza di fiducia nei suoi confronti, Antonio opponeva una calma serafica e irritante. Era convinto che sapere poco delle altrui esistenze lo metteva in una condizione di forza e comincia a considerare la farmacia come casa e si sente al sicuro.

Antonio veniva a contatto con i problemi di salute di alcuni, come la definizione di “pazza” pronunciata da un dottore, riferendosi alla moglie di un cliente che fece sorgere in lui ricordi dolorosi legati alla sua esperienza, considerandoli “bambini travestiti da adulti” a cui offrire una seconda possibilità, la passione per la giovane Ninetta o il dolore profondo per la sorte del nipote di Nenè, colpito dal calcio di un asino, che per lui rappresentò l’ennesima “ingiustizia di una vita sbagliata”. Il funerale del bambino diventa l’incarnazione di
un altro dolore vissuto, la rabbia per la morte di sua madre che non aveva potuto impedire, avvenuta quando era ancora un ragazzo e desiderava abbandonarsi al pianto, ma era come morto dentro. Il suicidio di un giovane che aveva perso tutto al gioco innescò, nella mente e nell’animo di Antonio una spirale dolorosa di fantasmi del passato e sensi di colpa, mentre tra gli abitanti si diffondeva una ridda di ipotesi strampalate e tragiche, immerse in un’aura di mistero.

Antonio era convinto che ci fosse una sorta di destino a cui non poter sfuggire e che il mondo fosse diviso tra chi tendeva verso il giusto e chi era condannato all’errore. Egli avrebbe voluto dimenticare il suo passato, sfidare se stesso, i passi che separavano la farmacia dal casino di gioco, l’ebbrezza della perdita, l’esaltazione della vincita e la paura del baratro: ”il gioco delle carte è una subdola sirena che ti irretisce” e offre al giocatore l’illusione della vittoria. Antonio voleva sottrarsi a quella spirale ma non ci riusciva, quel dolore l’aveva colpito nel profondo e si illudeva di essere cambiato, ma ripiomba nella perdizione del gioco. L’incontro fondamentale che gli cambierà la vita sarà quello con Federico, “un bambino nel corpo di un vecchio” che diventerà una sorta di punto di riferimento, il disvelamento della propria natura e gli farà accettare il proprio travaglio interiore. L’imbarazzo iniziale si trasformerà a poco a poco in un legame fortissimo: Antonio e Federico erano due anime ferite che cercavano un appiglio. L’unico spiraglio di
felicità erano i suoi incontri con lui a cui non voleva assolutamente rinunciare, negli occhi del ragazzo aveva rivisto se stesso, la solitudine dei suoi gesti, la disperata ricerca di amore e per la prima volta si era potuto riconoscere e quel ragazzo gli offriva la possibilità di saldare i conti con il suo passato.

Antonio lo accoglie nel suo cuore e nella sua vita e si sentirà accolto e accettato da lui, superando pregiudizi e dicerie e prova stupore e entusiasmo quando la madre del ragazzo glielo affida, perché potesse vedere per la prima volta il mare. “Non puoi essere felice davvero se non hai conosciuto il mare” gli dice, ricordando con nostalgia le sue estati spensierate a Napoli, la sua città ed è come se volesse trasmettergli le sue emozioni.
La sensazione di completa libertà che Federico prova davanti a quell’immensità suscita in Antonio uno strano senso di paternità mai provato: si sentono come custodi di un segreto che nemmeno il dolore e la paura provati per la caduta di Federico riescono a cancellare.
Il bisogno incontrollato di sfidare la sorte porta Antonio a vivere una situazione di estrema difficoltà perché ”vincere è la peggior condanna per ogni giocatore”: sarà proprio Federico ad offrirgli un’alternativa: gli insegna a giocare a scacchi per potersi rifare della perdita alle carte. L’arrocco, che negli scacchi ha il compito di “proteggere il Re e non lasciarlo mai solo” diventa il simbolo di un legame che salva entrambi dal male e dalla sofferenza: ”ti arrocchi dentro questa casa con me e come me e ti proteggi dal mondo”.

Federico era arrivato nella sua vita come un regalo ed era diventato l’unica ragione per cui valesse la pena restare in quella città e durante la partita finale, Antonio ricorda le parole del ragazzo :”solo vincendo questa partita lo renderai libero” e avverte subitaneo il presagio di un dolore: Federico, il suo unico amico, l’aveva reso libero, finalmente dopo tanto tempo, di rivelare al notaio tutta la verità, sciogliendosi così dalla gabbia della menzogna in cui si era sentito rinchiuso.

A cura di Ilde Rampino

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