Bando per i Borghi Abbandonati, a proposito del PNRR Cultura

ANALISI. Mino Mastromarino della Associazione ProMontemarano commenta le misure contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza contro lo spopolamento dei piccoli Comuni

Mino Mastromarino della Associazione ProMontemarano commenta il Bando per i Borghi Abbandonati. A proposito delle misure contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza contro lo spopolamento dei piccoli Comuni, conclude esprimendo riserve formali e di merito sulle modalità, la selezione e l’efficacia di questo strumento sperimentale di sostegno ai piccoli Comuni italiani. Di seguito la riflessione sul bando per i Borghi Abbandonati.

Uno scorcio delle colline del Calore viste da Montemarano

Bando per i Borghi Abbandonati ovvero lo scialo di lingua scema

A proposito del PNRR Cultura contro lo spopolamento dei piccoli comuni

di Mino Mastromarino | Associazione ProMontemarano

Il Ministero della Cultura ha stanziato ben  420 milioni di euro nell’ambito del capitolo “attrattività dei borghi” del PNRR, destinandoli a 21 comuni, uno per ogni regione, per un totale di 20 milioni di euro a comune, sulla base di “progetti pilota per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono o abbandonati, tramite la realizzazione di un numero limitato di interventi di carattere esemplare”. I progetti devono includere « l’insediamento di nuove funzioni, infrastrutture e servizi nel campo della cultura, del turismo, del sociale e della ricerca, come scuole o accademie di arti e dei mestieri della cultura, alberghi diffusi, residenze d’artista, centri di ricerca e campus universitari, residenze sanitarie assistenziali (RSA), residenze per famiglie con lavoratori in smart working e nomadi digitali». La Regione Campania ha scelto il progetto della provincia di Salerno “Sanza: Borgo dell’accoglienza”  giacchè esso  «ha previsto , tra le altre cose, la realizzazione di una città-albergo e residenze co-working in un contesto di elevato interesse naturalistico e in posizione strategica per l’innesco di sinergie di sviluppo con importanti attrattori culturali e turistici della regione». Atterrisce – soprattutto in questa fase storica – il fatto che si esponga allo sperpero e all’utilizzo infecondo tanto denaro pubblico, per giunta in gran parte ricevuto a prestito  dall’Europa. Ma a che serve finanziare 21 comuni in via di spopolamento con 420 milioni di euro? Da dove deriva la certezza ‘culturale’ che, grazie a questa lotteria, i borghi fortunati possano invertire il destino di estinzione loro e, con la sola forza dell’esempio, quello degli altri comuni pulviscolari? Sul piano dell’efficacia socio-economica, dubitiamo che la emorragia demografica possa risolversi o semplicemente contrastarsi con sporadiche iniziative culturali e turistiche, almeno così come queste vengono delineate dalla burocrazia europea. Anzi, crediamo che l’opzione puntiforme, quasi chirurgica, dell’intervento pubblico lo condanni in partenza all’inutilità. A fondamento del bando per i borghi in agonia non è sottesa alcuna plausibile strategia, tanto è vero che gli interventi candidabili appaiono agglutinati, irrelati rispetto alla dichiarata finalità del finanziamento, generici, a contenuto eterogeneo che passa dalle RSA a campus di ricerca, dalle residenze d’artista all’albergo diffuso.  Ma l’oggettivo pericolo di  scialacquio di somme pubbliche è annunciato – ci ostiniamo a pensarlo– dallo scialo di lingua ‘scema’ (icastica definizione mutuata dal linguista Massimo Arcangeli), che pervade la stesura del concorso per i Borghi abbandonati e, purtroppo, anche quella del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La loro prosa abbonda di lemmi ed espressioni astratti, di barocche  concettualizzazioni; è al contrario priva di formulazione precisa e concreta degli obiettivi programmati e delle regole indispensabili alla coerente  selezione dei progetti in competizione. Il Ministero della Cultura avrebbe dovuto  – per definizione – disambiguare lo stantio  vocabolario ministeriale, innovandolo con parole di semantica univocità. Invece,  per difendersi  preventivamente dall’accusa di aver ridotto eccessivamente il numero dei comuni beneficiari, ha fissato il prioritario criterio discretivo  della ‘esemplarità regionale’. È un criterio logicamente e linguisticamente scriteriato ( oltre che ad elevato rischio di contenzioso), poichè la bontà dell’impianto ‘pedagogico’ del bando si può misurare solo dopo che le risorse stanziate siano state spese, ossia quando l’esito positivo dell’intervento statale ne autorizzi la estensione mimetica ad altri Enti e territori aventi caratteristiche analoghe. Insomma, una proposta di intervento pubblico non si può definire ‘esemplare’ a priori, atteso che il modello diventa virtuoso a indeclinabile seguito di   sperimentazione. Del resto, cosa deve e può intendersi con  il sintagma ‘intervento di carattere esemplare’? Se lo si intenda come ‘funzionale’, cioè idoneo a ripopolare  il comune scarnificato, ricadrebbe nella sopra citata illogicità. Qualora lo si riferisca ad ‘originale’ o ‘innovativo’, soggiacerebbe purtroppo alla impraticabilità, avendo il bando dettato parametri selettivi eterei e troppo discrezionali. Infatti, la motivazione della scelta campana operata a beneficio del comune di Sanza, in provincia  di Salerno  – non diversamente da quella di tutte le altre regioni – ha di fatto eluso il canone della esemplarità o della originalità. D’altronde, un progetto come quello prescelto poteva essere presentato (e forse in un certo senso lo è stato)  da tutti i comuni campani, stante  la indotta corrività dei concorrenti ad attenersi al legnoso e inespressivo lessico istituzionale. Quale sindaco non desidererebbe  trasformare  il proprio comune desertificato in una città-albergo, dotata magari di residenze co-working? E non lo presenterebbe come già situato in un contesto di elevato interesse naturalistico e in posizione strategica per l’innesco di sinergie di sviluppo con importanti attrattori culturali e turistici della regione? Soltanto la disperazione del momento  – ci auguriamo –   consente di tollerare ancora una terminologia senza senso che si compiace  per l’uso di formule come ‘nomadi digitali’, ‘co-working’, ‘sinergie di sviluppo’ e ‘residenze d’artista’. Qualunque cosa, queste insignificanti locuzioni, vogliano dire, non lasciamo che i nostri magnifici borghi vengano abbandonati anche dall’italiano.


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