“Cosa ti manca per essere felice?” di Simona Atzori

”Tutto comincia da un sogno”: è la frase chiave intorno a cui si delinea la vicenda di questo meraviglioso libro, scritto attraverso le parole del cuore da una persona speciale che ha fatto della sua vita una continua sfida per superare i limiti a poco a poco, che in realtà “sono negli occhi di guarda”

“Cosa ti manca per essere felice?” di Simona Atzori. ”Tutto comincia da un sogno”: è la frase chiave intorno a cui si delinea la vicenda di questo meraviglioso libro, scritto attraverso le parole del cuore da una persona speciale che ha fatto della sua vita una continua sfida per superare i limiti a poco a poco, che in realtà “sono negli occhi di guarda”. Lei era nel sogno e nessuno glielo avrebbe portato via: meravigliosa era la capacità della sua famiglia di accoglierla come un grande dono e di farla sentire amata e protetta, con una grande voglia di vivere aveva a poco a poco imparato, anche grazie ai loro insegnamenti, a trasformare il dolore in vita e a sorridere sempre.

“Perchè no?” era la domanda che sua madre le poneva davanti ad ogni nuovo limite da superare e la spronava a provarci sempre. Sceglie di non aver paura dei ricordi che non sono altro che “macchie di colore su un foglio bagnato” e ripensa spesso alle sue difficoltà all’asilo, quando le maestre la osservavano imbarazzate, quando utilizzava i piedini con naturalezza, mostrando agli altri il suo modo di vivere, quei piedini che rappresentavano i
segreti di quella bambina che a volte sentiva in sé un’energia repressa, come “un cavallo che scalpita”.

Significativo è l’episodio dell’altalena in cui lei bambina si dondola felice, attirando l’attenzione preoccupata di un passante, mentre sua madre, sorridendo e rassicurandola, le dice di continuare, appena egli si è allontanato: un’espressione di libertà dai limiti che gli altri pongono a noi stessi. Aveva dovuto affrontare le difficoltà che la vita le aveva posto durante il cammino, come il dolore alla schiena, il busto ortopedico che era stata costretta a portare durante l’infanzia, le protesi, che non voleva imparare ad usare, perché le
sentiva fastidiose e non le appartenevano: a 18 anni aveva rinunciato ad esse e finalmente si era sentita completa perché “era stata disegnata così”: le mani non esistevano, i “suoi “ piedi le appartenevano veramente.

L’adolescente ombrosa, in guerra con il suo corpo, scopre improvvisamente il favoloso mondo dei colori: “un segno rosso incomprensibile fu il suo primo disegno” e, immergendo il pennello nel suo mondo interiore, riesce a tradurlo in immagini. Il desiderio di sperimentare e di mettersi in gioco, facendo nuove esperienze, la porterà a librarsi nella danza e la pittura diverrà il mezzo per fermare quegli attimi di movimento che le permettono di volare. E’ come se entrasse in contatto con un’altra dimensione: la sua
danza è un “volo senza ali” e si sente come “una lucciola in bottiglia”, che continua a illuminare il suo mondo e quello degli altri, nonostante i limiti.

Diviene a mano a mano consapevole che è importante “il suono dell’immaginazione”, simile a un filo dell’aquilone per poter volare, per scoprire le sfaccettature del mondo senza averne paura: comprende che il bello della vita sono le persone che si incontrano lungo il cammino, come le amicizie vere e l’affetto profondo per sua sorella Gioia, che, nonostante si trasferirà lontano, sentirà sempre vicina col cuore. La sua determinazione non le impedisce di mettersi sempre alla prova, perché vuole vivere pienamente e sente che ”se qualcosa non deve realizzarsi, c’è qualcos’altro che ci aspetta”: per lei è importante dare
valore ad ogni persona e scopre l’importanza di provare amore gratuito al di là dei legami di sangue e ricorda quando suo nonno le aveva insegnato a dare amore con semplicità, poiché riusciva a proteggerla, facendola sentire libera.

L’emozione profonda provata alle Paralimpiadi le fa capire che la vita ha vinto su tutte le barriere: i limiti costringono a diventare quello che non si è, ma a volte si deve fare un percorso più lungo per giungere ad un obiettivo. L’esperienza del contatto con i carcerati e la sua danza, all’interno di quelle mura, la fa entrare in un’altra dimensione e lei si sente simile a un girasole, che si spinge verso la vita come lei, senza paura.

A cura di Ilde Rampino

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