“Due splendidi destini” di Nadia Hashimi

Le vicende della vita di una ragazza, Rahima, che si collegano e fanno da specchio alla vita della sua bisnonna, Shakiba, un percorso di vita che lotta contro i pregiudizi e afferma il diritto della donna ad essere se stessa attraverso le opportunità che le sono negate in una terra come l’Afganistan, martoriata dall guerra, in cui ancora oggi si eleva forte, nonostante tutto, il grido delle donne per ottenere una libertà negata

“Due splendidi destini” di Nadia Hashimi. Le vicende della vita di una ragazza, Rahima, che si collegano e fanno da specchio alla vita della sua bisnonna, Shakiba, un percorso di vita che lotta contro i pregiudizi e afferma il diritto della donna ad essere se stessa attraverso le opportunità che le sono negate in una terra come l’Afganistan, martoriata dall guerra, in cui ancora oggi si eleva forte, nonostante tutto, il grido delle donne per ottenere una libertà negata. Il nome che avevano a Shekiba, significava “dono” e in realtà aveva caratterizzato tutta la sua vita. In seguito ad un incidente, vivrà tutta la sua esistenza con una parte del viso bruciato: a tredici anni muore la sua famiglia e lei resta sola con il padre che la guarderà in silenzio e rassegnazione, con i suoi occhi colmi di solitudine. La portava nei campi perché la aiutasse a coltivare il suo pezzetto di terra. Lei diviene forte come un ragazzo e quando il padre muore, lei rimane sola e continua a lavorare e quando sua nonna va a chiedere notizie di suo padre, non le dice della sua morte.

Il dolore e la solitudine spingono Shekiba a lasciarsi andare, finchè la portarono dalla nonna paterna che la fa lavare, arrossandole la pelle, senza alcuna delicatezza. La sua rabbia, accumulata negli anni, esplode e accusa sua nonna di non essersi occupata di suo figlio e della sua famiglia: Shekiba viene sfruttata, è costretta ad occuparsi della casa e dei campi, perché volevano impadronirsi della terra di suo padre, ma in lei a poco a poco nasce una nuova consapevolezza: lei sarebbe dovuta essere la padrona di quella terra, ma, secondo regole non scritte, i fratelli l’avrebbero ereditata, perchè lei era una donna e non aveva nessun diritto. Shekiba decide di trovare il modo di farsi una vita propria: doveva cercare il documento di proprietà del terreno per sottoporlo ad un magistrato, ma sarebbe dovuta tornare a casa sua e le sembrava impossibile, ma era dotata di una grande determinazione.

Chiede di andare a trovare sua nonna, ci riesce e trova il contratto, firmato dal nonno, ma quando lo porta dal magistrato, egli lo straccia, distruggendo le sue speranze. La vita di Shekiba subisce ancora dei cambiamenti, diventa una guardia al palazzo del re per proteggere le sue mogli; sfigurata com’era, nessuna la vedeva come una minaccia. A contatto con quella nuova vita, comprese che avrebbe avuto valore solo appartenendo ad un uomo, ma forse ciò le avrebbe potuto aprire le porte a nuove possibilità. Gli intrighi e i
segreti del palazzo mettono in pericolo la sua vita, ma riesce a salvarsi e alla fine, ascoltando il discorso di Soraya, la moglie del nuovo re, si rende conto che vi sono i germi di un cambiamento per la condizione delle donne.

L’esempio della sua bisnonna era sempre stato quello di determinare il suo “nasib” il suo destino, anziché subirlo e anche Rahima si era dovuta adattare ai cambiamenti nella sua vita. Nata in un villaggio, era circondata dagli sguardi maliziosi degli uomini, per i quali guardare le ragazze era una forma di omaggio, ma per loro era un gesto che faceva paura. In famiglia erano cinque sorelle: sua madre era contenta che la aiutasse nelle faccende di casa e a fare la spesa, sua sorella Parwin era bellissima, ma viveva in un mondo tutto suo, fatto di dolcezza e di canti leggiadri, troppo ingenua per affrontare la realtà che la circondava. Il loro padre non avrebbe voluto che le sue figlie frequentassero la scuola, ma è costretto in un certo senso dalla determinazione di Khala Shaima, la sorella di sua moglie, figura di donna determinata e coraggiosa che si batteva per il diritto a farle studiare, a permettere che lo facessero, anche se per breve tempo.

La situazione della donna era molto difficile, soprattutto a causa della prevaricazione maschile e si giunge a una soluzione: Rahima diventa un “bacha posh”, un figlio maschio, in realtà una tradizione comune per lefamiglie prive di un figlio maschio, per poter andare avanti e indietro nei negozi e a scuola senza che i ragazzi la infastidiscano. Sua madre le taglia i capelli, le fa indossare abiti da ragazzo. A Rahima piaceva essere un maschio, si sentiva libera, anche se avvertiva una sorta di disagio nel giocare con loro, soprattutto
​quando la vedeva sua madre, che la osservava con disapprovazione. Il senso di libertà, lontana dagli obblighi che le comportava la sua condizione femminile, tuttavia non la mette a riparo dal suo destino: un giorno un uomo, Abdul Khaliq, la chiede in sposa.

Rahima non può continuare ad essere una “bacha poch”, perché è diventata grande e ciò infrange la tradizione. A causa della difficile situazione economica del padre, le tre
sorelle, Rahima di tredici anni, Parwin di quattordici e Shahila di quindici sono costrette a sposare uomini facoltosi in cambio di soldi e oppio di cui egli è ormai dipendente, mentre le sorelle più piccole rimangono a casa. Rahima diventa la quarta moglie, doveva abituarsi a comportarsi da donna e mandare avanti una casa; nascono dei contrasti tra le mogli, ma lei riesce a stringere amicizia con una di loro, Jamila, che le sarà sempre vicina e la aiuterà anche quando avrà un bambino, Jahangir, che divenne la sua ragione di vita e la sua via di scampo. Diverso sarà il destino di sua sorella Parwin, la più debole, che viveva non lontano da lei, ma non potevano incontrarsi: la solitudine e le sofferenze la spingeranno a togliersi la vita in modo terribile, raggiungendo finalmente la pace che non aveva mai provato. Rahima chiede a Badriya, la prima moglie, di poterla accompagnare alle sedute in parlamento, visto che è in grado di leggere e scrivere: è un modo per uscire dal suo isolamento e poter visitare Kabul: le viene concesso, a patto di non fare niente che possa
metterlo in imbarazzo. Quell’esperienza le cambierà la vita, offrendole nuove insperate possibilità di cambiamento, come poter frequentare lezioni di informatica e conoscere una donna, Zamarud, che in parlamento prende la parola, esponendo coraggiosamente le proprie idee, nonostante fosse ripetutamente minacciata per il suo atteggiamento irriverente e infine verrà ferita in un attentato.

Un evento devastante per Rahima sarà la perdita di suo figlio Jahangir che muore dopo una breve malattia, che la priverà della voglia di vivere, vivendo nel suo cuore un dolore immenso: prova un profondo odio per sua suocera che non aveva voluto che venisse portato in ospedale, ma anche una sorta di tenerezza per suo marito, orgoglioso del figlio maschio, che l’aveva cullato nei suoi ultimi istanti, ma ciò che la dilania soprattutto è un profondo senso di colpa per non esserci stata quando suo figlio aveva avuto bisogno di lei. Dopo qualche tempo, decide di tornare in parlamento e alla fine riesce a fuggire, tagliandosi i capelli e vestita da maschio, un ritorno alla sua vecchia vita, una via di scampo finalmente per sempre.

A cura di Ilde Rampino

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