“Almarina” di Valeria Parrella

Ilde Rampino recensisce per Nuova Irpinia il romanzo finalista al Premio Strega 2020 che narra del rapporto fra una professoressa di matematica e la sua allieva nel carcere minorile di Nisida. Una storia che riguarda tutti e che pone un interrogativo universale

“Almarina” di Valeria Parrella. Un rapporto che si snoda attraverso le difficoltà e il silenzio di parole non dette è quello che si instaura tra la protagonista, Elisabetta, che insegna nel carcere minorile di Nisida e Almarina, una ragazza romena di sedici anni con alle spalle un passato di violenze e soprusi, ma che sembra aver conservato “un’anima pura”, anche se offuscata da ricordi terribili. E proprio attraverso i frammenti dolorosi del suo cuore che Elisabetta entra in contatto con lei, non solo come insegnante, ma soprattutto come persona. Condivide con lei istintivamente proprio il mosaico spezzettato della sua vita, frantumatosi quel giorno in cui una chiamata improvvisa, a cui lei ha risposto solo tempo dopo, l’ha portata a fronteggiare una realtà indicibile, nella “morgue” di un ospedale dove Elisabetta ha trovato suo marito morto: il messaggio si era perso nel silenzio del cellulare, riposto nella cassetta di sicurezza all’ingresso del carcere. Mentre percorre ogni giorno la salita che la porta al carcere, avverte il silenzio dentro e fuori di sé, attraverso la forma diversa che assumono i ricordi, come un passo sospeso nell’aria, rivive la sua solitudine di figlia unica e i pochi ricordi del suo matrimonio, i momenti belli e quelli difficili. Quando le porte del carcere si chiudono dietro di lei, Elisabetta sente di entrare in un luogo chiuso,  dove non arrivano le parole del mondo fuori o vengono attutite attraverso gesti ed espressioni che nascondono il dolore: non si può rifiutare nulla, i detenuti, tutti ragazzi, “non ti chiedono il permesso di maltrattarti o accoglierti”, esistono altre regole non scritte a cui bisogna adeguarsi. Esiste tuttavia la possibilità di entrare in qualche modo in contatto con loro, è necessario superare la frustrazione di essere inutile o capire in che modo poter essere utile, ma vivere momenti molto intensi e dolorosi: ”per noi vederli andar via è la cosa più brutta, dove andranno?”.

Elisabetta condivide con quei ragazzi ore in cui sono uno davanti all’altra e lei non riesce a provare indifferenza, sente la loro tristezza e solitudine, “il carcere è un dolore che non finisce”, ascolta le loro parole mute espresse talvolta attraverso uno sguardo cattivo, li odia perché conoscono il disprezzo, essendo stati disprezzati e non hanno filtri, mai. Per loro “i carcerieri siamo noi e non gli agenti, noi che vogliamo dare un senso alle loro esistenze, le quasi madri” e perciò il loro atteggiamento spesso è provocatorio. Alla fine della lezione, lei avverte un senso di smarrimento, una frattura perché “tu devi andare per forza di legge ed essi devono restare per forza di legge”. Nisida rappresenta per assurdo una sorta di “posto meraviglioso”, lontano dal mondo in cui vivono e in cui devono tornare, spesso fatto di strade buie, di spari e di genitori che li mandano a rubare; sono “bambini senza casa”, che vivono paura e solitudine, si abituano al carcere, ma “faticano più a capire che possono fidarsi”. Denso di dolcezza è il senso di profondo legame che Elisabetta prova nei confronti di Almarina, quando un giorno la ragazza si addormenta in classe, immersa in pensieri belli che la distraevano dalle botte che aveva ricevuto in passato e lei le si pone davanti per proteggerla dagli scherzi degli altri, osservando con tenerezza la medaglietta della Madonna del Buon Consiglio che le ha regalato sua nonna, come le aveva confidato un giorno. Si sentiva responsabile nei confronti della ragazza e le era grata, perché in alcuni momenti in cui i ricordi dolorosi le stringevano il cuore, Almarina “la tirava via dal pozzo e la riportava in classe”. Provava il desiderio che la ragazza trovasse la sua strada, un buon impiego e decide di portarla a casa sua per Natale per offrirle una possibilità, un momento di serenità e di affetto.

Il momento più difficile per Elisabetta sarà separarsi da Almarina, rendersi conto che lei non c’era più – “le cose che fanno male non si capiscono subito” – poiché è stata affidata a don Valentino e al suo centro di accoglienza. Densa di tensione è l’attesa per la decisione dei giudici se può averla con sé; il rapporto tra di loro è divenuto molto forte e, immersa nei suoi pensieri, le fa una promessa importante: andranno a cercare sua madre e le diranno che suo fratello Arban, da cui la ragazza è stata costretta a separarsi, si è salvato, anche se non è vero.

A cura di Ilde Rampino

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