“Morte a Venezia” di Thomas Mann

“Morte a Venezia” di Thomas Mann. L’irrequietezza del protagonista Gustav Aschenbach, uno scrittore che vive tormentato da una continua tensione, dall’urgenza di un impulso creativo che non riesce a trattenere riempie le pagine di questo bellissimo libro. La fremente tensione del suo animo fa nascere in lui il desiderio di muoversi, di abbandonare la propria casa, che avverte come una gabbia che lo limita, decide di viaggiare per soddisfare il suo bisogno fremente di evasione. La sua insoddisfazione che egli definisce “l’essenza e intima natura del talento” non lo fa sentire all’altezza della sua fama, anche se la sua nazione lo celebrava, egli riteneva che “alla sua opera facessero difetto quei caratteri di estro irruente”. Tutto il suo essere aspirava alla gloria, ma era convinto che ciò che esiste di grande in un uomo si è manifestato “nonostante la pena e il dolore” quasi per caso contro le difficoltà della vita. Il suo “delirio della volontà” lo faceva sentire sempre in un mondo artefatto, di cui riusciva a fatica a discernere i particolari. Si accingeva a salpare per Venezia che considerava una città che rappresentava la sua altalenante personalità,  per il suo carattere evanescente che ben si adattava a quel cielo grigio che lo accolse quel giorno, mentre il basso divanetto rivestito di nero sulla gondola diveniva una sorta di presagio di morte.

L’incontro con un giovane polacco, accompagnato dalle sue sorelle in quella città, Venezia la bella, “equivoca adescatrice”, provoca una specie di deflagrazione emotiva in lui: all’inizio il suo atteggiamento che rivela la sua origine aristocratica lo colpiscono, i suoi modi, densi di fascino e insieme di una classicità antica lo attraggono. La visione della spiaggia e la sensuale spensieratezza del giovane Tadzio, in pigro e disteso riposo, che si alzava poi lentamente e faceva il bagno diventa l’immagine che incatena il suo spirito.

Gustav sente improvvisamente l’urgenza di partire, di allontanarsi da quella città che era diventata per lui dannosa, perché lo riempiva di una mollezza dell’anima, di un perpetuarsi di uno stato di quiete e nello stesso tempo di fremente agitazione emotiva, sentiva di non poter sopportare il distacco da lui. Si sentiva preda di “una dilatazione del proprio animo” nei confronti del giovane, come se egli, dopo lo sguardo che si erano scambiati, l’avesse catturato in una rete e l’avesse sottratto all’amabile ritmo di quell’esistenza. Il suo spirito rendeva ossequio alla bellezza e osservando il suo corpo, agile e perfetto, il suo cuore inizia a battere come un martello. Venezia appare quasi come una donna triste, dagli abiti aristocratici, ma nelle sue strade si incontrano personaggi bizzarri e caricaturali, mentre attente sono le descrizioni dei particolari. Mentre dietro Venezia il sole tramontava,  il volto dell’anziano tradiva un’intima commozione, alla vista del sorriso del giovane simile quasi a quello di Narciso, mito classico e suggestivo. Egli vagava per le strade mentre lo sguardo del protagonista lo cercava e lo scorgeva, incatenato dalla passione, da quel suo atteggiamento disarmante e travolgente, che temeva di destare sospetti. Gustav avvertiva dentro di sé un’ irrequietezza febbrile e cercava disperatamente qualcosa che l’avrebbe restituito a se stesso, ma era consapevole che “nulla abborre quanto rientrare in sé”.I suoi sensi stavano all’erta, in costante tensione, provava ribrezzo del proprio corpo appassito. Suggestiva è l’immagine del giovane Tadzio, con il viso rivolto all’immensità, alzando il braccio verso l’orizzonte, quasi a voler indicare qualcosa e nel delirio dei suoi ultimi istanti di vita, Gustav immagina se stesso, mentre lo segue verso un ideale irraggiungibile, verso l’aldilà, mentre il suo corpo esanime viene scoperto poco dopo.

A cura di Ilde Rampino

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