Gengaro: Di Nunno, sindaco che seppe guardare al futuro. Avellino oggi paga l’assenza di un’idea di città

Nel quarto anniversario della scomparsa dell'ex sindaco del capoluogo, il ricordo di uno dei protagonisti dell'intensa stagione politica ed amministrativa registrata tra gli anni Novanta e Duemila e le riflessioni sulle prospettive della città.

Antonio Gengaro

«Uno dei principali limiti delle ultime amministrazioni comunali di Avellino è l’assenza di un’idea di città». Ad affermarlo è Antonio Gengaro, già vicesindaco del capoluogo, durante la sindacatura di Antonio Di Nunno, e successivamente presidente dell’assemblea municipale.

A lui abbiamo chiesto di ricordare la figura del primo cittadino che ha guidato l’ente di Piazza del Popolo dal 1995 al 2004, del quale ieri ricorreva il quarto anniversario della scomparsa, e delle prospettive politiche di Avellino.

Antonio Di Nunno, sindaco dal 1995 al 2003, promotore della nuova cittá progettata al termine della lunga fase di ricostruzione seguita al terremoto del 23 novembre 1980

Quale contributo è venuto da Di Nunno e dal suo ciclo amministrativo alla vita cittadina?

«Si è cercato di dare risposte concrete ai problemi e di pensare al futuro della città, anche attraverso scelte che potevano essere impopolari, senza mai sottrarsi alla responsabilità di cui deve farsi carico un amministratore pubblico. Penso alla realizzazione dello Stir di Pianodardine, in piena emergenza rifiuti, quando sarebbe stato più comodo e semplice cavalcare la protesta e unirsi al coro dei “no”, mentre si è preferito intervenire, trovando soluzioni razionali. Oppure al Teatro “Carlo Gesualdo”, con la sua istituzione affidata ad esponenti di primo piano della cultura. Senza contare i progetti ed i finanziamenti messi in campo per ammodernare Avellino e renderla più vivibile, anche urbanisticamente: la città giardino».

Un progetto che ha trovato non pochi ostacoli

«Sì, certamente. Sia durante gli anni del suo governo cittadino, che successivamente, nell’attuazione del disegno urbanistico, per il quale fu chiamato uno dei principali studi di progettazione architettonica del mondo, il Gregotti – Cagnardi. La tutela delle colline di Avellino, l’introduzione di un sistema che frenasse la speculazione e desse priorità alle funzioni pubbliche, insieme ad una idea diversa della gestione degli spazi, volta alla vivibilità urbana, alla conservazione e alla moltiplicazione del verde, andava sicuramente controcorrente e si scontrava con determinati interessi».

Oggi sull’ente grava una difficile situazione finanziaria, sulla cui gestione si è acceso un duro dibattito, non privo di toni propagandistici. Senza contare che negli ultimi anni si è detto, non a torto, che l’azione di governo è stata limitata dai debiti. Che ne pensa?

«Vorrei ricordare che l’amministrazione Di Nunno ereditò una condizione economica insostenibile, che veniva dal dopoterremoto. Tanto è vero che negli anni precedenti si era consumata una altrettanto spigolosa discussione sulla opportunità di dichiarare il dissesto. Ci fu però la capacità di arrivare, attraverso una terapia mirata, al risanamento del bilancio, con il pagamento di oltre 130 miliardi di vecchie lire di debiti, riuscendo contemporaneamente, ad effettuare investimenti per gli interventi e per l’acquisizione di beni al patrimonio, soprattutto attraverso i finanziamenti dell’Unione europea. In soli 15 anni purtroppo c’è stata una completa inversione di marcia».

Dopo quella esperienza quale atteggiamento è prevalso da parte della politica e di chi ne tirava le fila in Irpinia?

«Chi lo ha contestato non è stato in grado di costruire un’alternativa. E’ mancata la capacità di progettazione. Ancora oggi si avverte un vuoto di idee, una lontananza delle istituzioni e della politica,  e di chi le rappresenta, rispetto alle dinamiche e alle esigenze della comunità. Non si è pensato a creare una nuova classe dirigente preparata, sensibile e all’altezza delle sfide che si presentavano».

La targa dell’Alto Calore Patrimonio, società consorella dell’Alto Calore Servizi, riassorbita nel 2014

Quale battaglia avrebbe portato avanti oggi Di Nunno, se avesse potuto ?

«Non c’è dubbio: quella per la gestione pubblica dell’acqua. Su questo versante si impegnò direttamente, scontrandosi con i vertici del suo partito di allora e con chi, pur da posizioni diverse, era per conservare determinati equilibri, lo status quo. La sua concezione, invece, era che un servizio essenziale, un bene comune, non può che essere pubblico, e gestito con efficienza e trasparenza».

Che prospettive intravede per Avellino?

«Senza un progetto lungimirante ed un profondo rinnovamento politico, sarà difficile andare avanti. Servono amministratori competenti ed affidabili».


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