Barra: senza un’adeguata classe dirigente sarà difficile far ripartire Avellino

L'analisi del docente dell'Università di Salerno: si avverte una fragilità strutturale della società civile ed un diffuso deficit di sentimento comunitario. Dopo il crollo del vecchio sistema di potere ed il fallimento dei partiti, resta lo scontro per la gestione degli avanzi. I movimenti setta si sono dimostrati inadeguati alla prova dei fatti.

«La crisi generale che si avverte nella società italiana ed europea si percepisce con maggiore forza nella città di Avellino, oltre che nell’intero contesto provinciale e delle aree interne, a causa di una fragilità strutturale della società civile e dello scarso senso comunitario che qui registriamo». Ad affermarlo è Francesco Barra, docente universitario, Presidente onorario della Associazione ‘Democrazia Compiuta’ di Avellino, da sempre attento alle dinamiche sociali e politiche, al quale abbiamo chiesto un’analisi dell’attuale scenario cittadino e provinciale.

L’assenza di una identità condivisa è un dato emerso con forza dopo il sisma del 1980. Non è così?

«Fino agli anni Novanta ha supplito a questo deficit la politica, intesa come potere taumaturgico e risolutore dei problemi. Venuto meno il vecchio sistema, sono rimaste soltanto le rovine. Avellino oggi non è in grado di svolgere più il ruolo di capoluogo e si presenta come una sorta di agglomerato urbano, senza una precisa identità, che non riesce suscitare un senso di appartenenza. Il deserto umano purtroppo è evidente».

La politica e le rappresentanze istituzionali sono sempre meno un riferimento per i cittadini. Non a caso aumenta il voto di protesta e prendono piede nuove forme organizzative. Ma tutto ciò è sufficiente a superare le difficoltà?

«La forma partito è ormai fallita clamorosamente. Il crollo verticale dei consensi del Pd è emblematico. Ma anche la forma del partito-setta ha dimostrato tutti i suoi limiti. Hanno svolto con forza ed efficacia il ruolo di forze di opposizione, ma quando sono stati chiamati ad affrontare i problemi e gestire la cosa pubblica, sono risultati inadeguati. La politica senza sovranità, insomma, si agita nel nulla. Questa situazione è poi aggravata da una complessiva decadenza della classe dirigente. Un fenomeno generale, che restituisce l’idea di una nomenclatura politica che si limita alla sterile occupazione degli avanzi di potere».

Per quel che riguarda la città e la provincia di Avellino, da dove è possibile ripartire?

«L’Irpinia è una provincia con un alto tasso di persone anziane. Molti giovani sono andati via ed i paesi sono sempre più spopolati. Quando la società non è in grado di rigenerarsi, è difficile determinare una ripartenza. Se manca la materia prima – per dirla così – diventa un’impresa costruire il futuro».

Francesco Barra accanto ad Antonio Di Nunno nel dicembre 2011 in occasione di un convegno con Enrico Letta, allora vicesegretario nazionale del Partito Democratico

Tra pochi giorni ricorre l’anniversario della scomparsa dell’ex sindaco Antonio Di Nunno. La sua fu un’esperienza politica ed amministrativa significativa perché mise in gioco un sentimento di partecipazione ed un’idea di città. E’ possibile recuperare qualcosa di quella stagione?

«Di Nunno è stato, in qualche modo, un sindaco eroe e martire. Ha speso la sua salute e la sua stessa vita nell’impegno in cui credeva. Trovare personaggio di tale statura morale non è cosa comune. Ma al di là dell’esaltante stagione trascorsa, cosa è rimasto? Soltanto il senso del fallimento e il triste destino di una persona che si è generosamente spesa. Dopo di lui si è tornato al peggiore passato. Non si può confidare in nuovi “eroi” pronti ad immolarsi per la causa. Ciò che occorre è un risveglio collettivo. Serve un lavoro di gruppo. Ma le condizioni non si creano all’improvviso e dal nulla».

Sempre più spesso si sente parlare di progetti civici. Non solo non si tratta di una novità, ma non c’è il rischio che sia un modo per aggirare l’ostacolo o per aprire il varco a nuovi opportunismi?

«Il civismo, le liste civiche sono un surrogato della politica dei partiti.  A cambiare è soltanto la forma. Restano poi, come sempre, il problema degli uomini che incarnano i progetti, delle idee, dei programmi. Il risultato è tutto da verificare. Dipende dalle specifiche situazioni».

Francesco Barra

A suo giudizio quali dovrebbero essere le priorità programmatiche?

«Per chiunque abbia il compito di amministrare la città c’è una strada obbligata: verificare la situazione finanziaria dell’ente. C’è bisogno di un’autentica “operazione verità”, basata su dati tecnici oggettivi. Sinora si è unicamente agitata la questione. Si conosce la cornice, che rassegna una condizione di difficoltà, ma bisogna andare oltre, individuando una efficace ed idonea terapia d’intervento. Il principale nodo da sciogliere è, comunque, quello dei lavori pubblici. Le opere incompiute pesano come un macigno sulla vita della città».

Si registra una difficoltà da parte del mondo della cultura e degli intellettuali a dare un contributo attivo nell’azione politica ed amministrativa. Come mai?

«Il ruolo degli intellettuali e più in generale della cosiddetta società civile viene svilito e strumentalizzato. Alla prova dei fatti ha perso ogni indipendenza e prestigio. L’impegno individuale diventa velleitario, inutile, in un contesto nel quale a prevalere è la lotta per gli incarichi e l’occupazione delle istituzioni a soli scopi personali».

 

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