“Il filo infinito” di Paolo Rumiz

L’autore prende le mosse dallo sventramento di Norcia a causa del terremoto per tornare alle radici del cristianesimo, riflettendo sul fatto che per tre volte l’Europa era rinata da quelle montagne: con Roma, col monachesimo e col Rinascimento

“Il filo infinito” di Paolo Rumiz. Un viaggio dell’anima alla ricerca delle radici cristiane dell’Europa, che si nascondono tra le parole dell’insegnamento di San Benedetto, che rivelano la loro autenticità a contatto con i luoghi che ne incarnano il valore vero. L’autore prende le mosse dallo sventramento di Norcia a causa del terremoto per tornare alle radici del cristianesimo, riflettendo sul fatto che per tre volte l’Europa era rinata da quelle montagne: con Roma, col monachesimo e col Rinascimento. Amara è la consapevolezza che l’Europa ha perso memoria dei principi cardine della spiritualità, pervenendo ad un’incapacità di relazione, che si rivela anche nella mancanza di solidarietà presente nel nostro atteggiamento di rifiuto nei confronti dei migranti.

“Il filo infinito” di Paolo Rumiz

I benedettini hanno rappresentato sempre un faro di rinascita, anche a causa del peregrinare continuo di genti che giungevano dalle varie parti del mondo nei monasteri benedettini: nello spazio chiuso del chiostro si creavano i capisaldi della vita comunitaria;  in quel microcosmo, la spiritualità e la trascendenza prendevano vita e acquistavano un più pregnante significato attraverso i simboli. Ora questo insegnamento è quanto mai attuale, perché la vera minaccia del mondo di oggi è il dilagare del materialismo. La convinzione dell’autore che ogni edificio abbia un’anima, diversa da tutte le altre, diventa lo spunto per un percorso del cuore, che si dipana tra i vari monasteri, come Praglia, presidio per ricivilizzare la vita secondo i principi del cristianesimo, che rappresenta una sorta di ”cassa di risonanza dell’anima”  o il monastero di Ottilien, in cui  l’autore è colpito dal senso di operosità dei monaci e si rende conto che l’energia spirituale dell’uomo purtroppo si sta spegnendo a contatto con il silenzio dell’anima di oggi, poiché non bisogna continuare a vivere nella paura, ma provare ”giubilo nel cuore e nel Signore”. Nell’abbazia femminile di Viboldone, la visione del mondo è impossibile da comprendere senza la presenza di Dio e bisogna mettersi in ascolto paziente dell’altro in modo da diventare un ”amplificatore dell’anima”. Grande importanza si dà al concetto di chiesa che è “la solitaria preghiera di un’anima smarrita” attraverso la purezza sacrale dell’acqua che bonifica. E’ un viaggio nel tempo che diventa scoperta, attraverso il monastero di San Gallo , l’ abbazia di Citeaux in Francia, culla dei cistercensi e Marienberg, il monastero benedettino più alto d’Europa. Lo scopo dell’insegnamento di Benedetto era l’umanizzazione dell’Europa abbattendo le sbarre delle frontiere e pervenendo ad una percezione del sacro che dilaga attraverso le varie lingue sulle note di un pentagramma antico: il suono che si fa silenzio e preghiera e si trasmette come i grani di un rosario attraverso le varie religioni.

“Il filo infinito” di Paolo Rumiz

L’incontro con alcune figure importanti, come l’abate Wolf fa riflettere il lettore su un principio importante, trasmesso da San Benedetto: il rispetto dell’individuo e l’ascolto di tutta la comunità, che dà vita ad un’ atmosfera di dialogo, necessaria per tornare al senso dell’umanità. L’immagine preminente che sottende alle pagine di questo interessante libro è la monaca col fuso che riporta tutto a un senso di abbraccio, come un “tendere un filo che unisce tutto”, tutti i monasteri in cui la “buona parola” di Benedetto ha lasciato tracce importanti.  ”Il cammino era preghiera e la preghiera canto per aiutare i poveri”:  un filo di lana che scavalca boschi e frontiere e le differenze religiose nei monasteri che collegano tutta l’Europa per liberare una musica interiore. L’autore mette in rilievo il legame indissolubile che esisteva tra i benedettini: la precisione della liturgia, con le sue regole ha tuttavia il dono di  esaltare la ricerca emozionale di un’esistenza piena; a quel tempo la vita dei benedettini improntata alla cortesia faceva da contraltare al clima di durezza che caratterizzava la società. Benedetto rappresenta il segno dell’accoglienza, unita alla ricerca della felicità dell’individuo in terra e, aprendosi all’altro, riesce anche a trasformare “il nemico in ospite”. Il suo insegnamento in un certo senso dà nuova linfa ad una sensibilità nata nel mondo antico, legata al culto delle “dee madri”, un concetto del femminile declinato come accoglienza e maternità e che rimanda all’esperienza di Scolastica, sorella di Benedetto. Ogni abbazia benedettina custodisce un immenso patrimonio di memorie e nei sotterranei e nelle cripte si avverte un’energia particolare, anche nei confronti di chi non c’è più, perché anche “i morti fanno parte della comunità”. Grande importanza viene data alla suggestione del silenzio e alla ricerca dell’ essenzialità: le parole appena sussurrate e i bisbigli sono un elemento di comunicazione più diretto. I benedettini hanno compreso la dimensione plurale del nostro mondo, che si manifesta attraverso l’accettazione delle differenze e della dedizione nei confronti dell’umanità: fondamentale è anche il significato dell’ ascolto e dell’elezione collegiale dell’abate, poiché l’”abate è servizio”. La fine del viaggio, il “cerchio” si chiude a Norcia, dove è iniziato tutto, tra quelle montagne in cui si nasconde il segreto della rinascita, per ritrovare la forza del cristianesimo originario e dell’unità dell’Europa.

A cura di Ilde Rampino


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