I segni del sisma a Sant'Angelo dei Lombardi

I segni del sisma a Sant’Angelo dei Lombardi dopo 40 anni è il tema della mostra allestita nella cripta della cattedrale. Francesco Di Sibio continua il suo viaggio sui luoghi del tragico evento del 1980. Dopo Conza della Campania propone la narrazione documentata della mostra allestita dal parroco di Sant’Angelo dei Lombardi Don Piero Fulchini nella cripta della Cattedrale. Quattro totem raccontano i segni dell’evento: tragedia, attesa, speranza e rinascita.


I segni del sisma a Sant’Angelo dei Lombardi, dalla tragedia alla speranza

di Francesco Di Sibio

«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4). Nella testa del parroco frullava l’idea che senza dubbio fosse giunto il momento di lasciare un segno riguardo all’evento cardine dell’ultimo mezzo secolo. Basterebbe citare il paese di cui stiamo trattando e il panorama sarebbe immediatamente chiaro. Per l’evento, invece, non occorrono altre parole, perché per questa zolla di terra appenninica che calpestiamo ogni giorno, l’evento è uno solo, la ricorrenza è ben evidenziata su ogni calendario, il giorno dell’anniversario apre il cuore a memoria, paure, ricordi, tantissimi ricordi. Sì, perché c’è differenza tra memoria e ricordo, in merito Marcello Veneziani afferma: «Il ricordo suscita il sentimento della perdita, la nostalgia. La memoria, poi, è soprattutto pubblica e storica, il ricordo è soprattutto intimo e affettivo. Ricordo, lo dice la parola, chiama al cuore; la memoria è più una facoltà intellettiva».

I segni del sisma a Sant’Angelo dei Lombardi

Così il parroco di Sant’Angelo dei Lombardi decise di allestire nella cripta della cattedrale una mostra permanente. Don Piero Fulchini ebbe l’intuizione di non lasciare una sola chiave di lettura: il dramma, ma scavò fino al nervo della sostanza per poter scrivere anche la storia degli anni seguenti. Ecco che attraverso quattro momenti: tragedia, attesa, speranza e rinascita, la mostra vuole rappresentare i quasi venti anni intercorsi tra la distruzione del tempio sacro, avvenuta la sera del 23 novembre 1980, e la sua riapertura al culto, il pomeriggio del 20 novembre 1999. Il vescovo dell’epoca era Mons. Salvatore Nunnari e la solenne concelebrazione di dedicazione fu presieduta da Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Nunzio Apostolico in Italia. I quattro totem, uno per ciascuna parola-momento chiave, sono aperti da una poesia di Domenico Cipriano tratta dalla raccolta Novembre: trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie. / è un fiotto la terra che lotta, sussulta, avviluppa. confonde / la terra che affonda, ti rende sua onda, presente a ogni lato / soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si sbatte, si spacca, ti vuole / e combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte è fuoco / la terra del dopo risucchia di poco le crepe: la terra che trema / riempie memoria. ti stana, si affrange, ti strema, è padrona.

I segni del sisma a Sant’Angelo dei Lombardi

L’arcivescovo Pasquale Cascio ha donato quattro citazioni tratte dai Salmi, che vanno ad attanagliarsi indissolubilmente alle immagini e ai testi riportati. Ungarettianamente la mostra è stata intitolata “Come una foglia in autunno” e ben rappresenta un edificio sballottato dalla forza della natura, ma il protagonista dell’intero lavoro non è tanto la struttura-edificio quanto la Chiesa istituzione, comunità. Intorno alla cattedrale ruota un’intera diocesi, una serie di piccole comunità messe insieme dalla storia e dalle scelte degli uomini, ma unite da un percorso comune. Nella fase di reperimento del materiale, l’architetto della Soprintendenza di Avellino Cinzia Vitale fece un invito, a chi lavorava al progetto, frutto della sua esperienza: «Bisogna costruire qualcosa che ricordi ai nostri giovani che il terremoto tornerà». Ecco un’ulteriore accezione della memoria, quella che aiuta a progettare il futuro sulla base delle esperienze passate.

I segni del sisma a Sant’Angelo dei Lombardi

Diverse volte mi sono trovato a riflettere su quanto si faccia in fretta a dimenticare e, per non fare esempi troppo vicini nel tempo (ce ne sarebbero molti: dalla velocità con la quale abbiamo accantonato la paura per il coronavirus dello scorso marzo ad altre), propongo un episodio di duemila anni fa. A Pompei, nel 79 a.C., era comune credere che il Vesuvio fosse “la montagna”, una semplice e imponente altura, non un vulcano. Si era persa la testimonianza delle ultime eruzioni, la vita aveva ottenebrato morte e distruzione, la voglia di vivere aveva del tutto estromesso la reminiscenza dei fatti. Anche per questo, tutti rimasero ingannati dal Vesuvio, nessuno interpretò i segni precursori, nessuno ne tratteneva la memoria né personale né tramandata. Dal 23 novembre 2019, dopo venti anni dalla riapertura al culto e a trentanove dalla distruzione della cattedrale, una piccola mostra testimonia quanto accaduto, tiene viva la memoria del dramma e dello sconquasso della natura, mantiene accesi i ricordi dei tanti che hanno vissuto quegli attimi e i lunghi anni che sono seguiti. Quattro parole: tragedia, attesa, speranza e rinascita, segnano il tracciato per comprendere un pezzo di quanto viviamo oggi, magari lasciando la possibilità di imparare, finché c’è tempo.


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