I segni del sisma del 1980 a Conza della Campania

In occasione del quarantennale del terremoto dell'Irpinia e Basilicata Francesco Di Sibio propone una trilogia di racconti per descrivere i luoghi dove i segni del sisma del 23 novembre 1980 sono ancora chiari ed evidenti. Un viaggio che parte dall'antico abitato di Compsa

I segni del sisma del 1980 a Conza della Campania. Ogni volta che varco il cancello d’ingresso, sento il bisogno di arrestare il passo e alzare gli occhi. Quei ferri verticali mi invitano a puntare lo sguardo verso l’alto, e mi sento come i viandanti che per millenni giungevano ai piedi di quella stessa collina e avevano l’istinto di alzare gli occhi per tentare di inquadrare qualche scampolo di vita, case e strade, per confermare ai piedi stanchi di essere giunti a destinazione o almeno alla fine di una tappa. A proposito di ferri, mi sono sempre rimaste impresse delle piccole travi scure che una volta sostenevano un balconcino e adesso sostengono l’aria; il piano d’appoggio non c’è più, ma i ferri sono rimasti lì al loro posto.  Dopo aver svoltato a destra lungo l’asse viario principale, in lontananza si inizia a scorgere una grande costruzione. È la storica cattedrale dell’antica Arcidiocesi di Compsa, o meglio quel che ne rimane.

I segni del sisma del 1980 a Conza della Campania

Rendere l’intera area del centro abitato di Conza della Campania un parco visitabile è stata sicuramente un’azione lodevole ma allo stesso tempo davvero impegnativa. È una sorta di fotografia del 23 novembre 1980, resa possibile dalla scelta – rinviata per secoli, dopo ogni scossa distruttiva – di costruire un nuovo insediamento urbano più a valle, al di là della statale Ofantina, con un occhio ben puntato sul vecchio sito. Quanto la zona ormai parco domini dall’alto, quasi come una madre intenta a vegliare un proprio figlio, lo si percepisce camminando all’interno dell’area della cattedrale. C’è un ingresso laterale, a cui si accede tramite degli scalini, alla sommità dei quali, voltandosi, si scorge l’insieme di costruzioni in cemento armato sorte attorno a una grande cupola, che è il tetto del nuovo edificio religioso della comunità, la concattedrale. Inutile fare paragoni tra i due centri urbani, non se ne avrebbero attualmente i parametri e, soprattutto, la nascita è avvenuta in modalità troppo differenti per assomigliarsi almeno un po’: una cosa è nascere e crescere casa dopo casa, altra cosa è spuntare sulla carta di un progetto a riempire lo spazio compreso tra due assi viari paralleli, disegnati da un tecnico in un’unica soluzione.

I segni del sisma del 1980 a Conza della Campania

Percorrendo la statale che da Palermo porta a Mazara del Vallo, si può fare una deviazione, allungando il percorso ma ottenendo in cambio la possibilità di ammirare un’opera d’arte inattesa. Anche in quella zona, il Belice, un terremoto segnò l’ora della modernità, era il 1968. La decisione fu di costruire un nuovo insediamento urbano a quasi venti chilometri di distanza. Il rischio era dimenticare del tutto le radici da cui era sorta Gibellina. Solo diversi anni dopo, tra il 1984 e il 1989, l’artista di Città di Castello Alberto Burri realizzò il cretto sui resti di Gibellina vecchia. La particolarità che ancora oggi mi stupisce è che, creando delle fratture di cemento sul terreno, una sorta di involucro protettivo della memoria storica di un paese, Burri pensasse alla rinascita, a un percorso moderno inserito in un’opera della cosiddetta land art. Il cretto è un insieme di crepe, un labirinto di storia e di ricordi, non un percorso da cui è difficile uscire fisicamente.

Il parco di Compsa parla ancora di quella sera di novembre del 1980 e la sua storia esce soffusa e chiara da ogni anfratto, da ogni mattonella ancora attaccata a un muro orfano del resto della struttura. Ecco che un dramma, scossa e trasferimento di tutto l’abitato, esercita un potere inaspettato: nello spazio antistante l’ingresso principale della cattedrale, sono venuti alla luce i resti del foro romano, qualche metro più in basso. Basta spostarsi di qualche passo ed è forte la tentazione di immergersi in una storia di duemila anni fa, pensare a quante persone sostavano, si informavano o compravano l’occorrente per proseguire il viaggio d’attraversamento dello stivale per raggiungere un mare partendo dall’altro, dal Tirreno all’Adriatico o viceversa. Compsa ci insegna che i nostri luoghi sono strati di una torta, sono un insieme di passaggi, più o meno fecondi ma tutti importanti, sono pietre vive, anche se dormono il sonno dell’assenza da quarant’anni.

I segni del sisma del 1980 a Conza della Campania

Non posso scendere di nuovo verso il cancello, senza aver scalato del tutto la collina e aver percorso, da una porta di ferro arrugginito all’altra, il campo di calcio. Mi colpisce questo posto dedicato allo sport, al movimento, posizionato sulla sommità dell’abitato. In un campo del genere ho fatto in tempo a giocarci, da alunno di scuola elementare, in preparazione ai Giochi della gioventù. Sì, i nostri campi sportivi erano spartani, senza recinzioni, senza spalti, magari conditi da pungenti ortiche, che crescevano indisturbate dove, per la loro presenza, nessuno voleva andare a battere il calcio d’angolo. Garantire la sopravvivenza dignitosa e la visita in sicurezza di posti come il parco di Compsa è un’impresa ardua, ma tutti noi saremmo molto più piccoli socio-culturalmente, se non potessimo più godere della certezza di riuscire ancora una volta a passeggiare lungo quelle strade e alzare gli occhi dopo aver varcato i ferri del cancello d’ingresso.

A cura di Francesco Di Sibio


LEGGI ANCHE:

Sannio rurale, ecco il calendario fotografico d’autore. Le opere premiate

Positivi al coronavirus in Irpinia 136: sono 2.300 in 2 settimane. Ad Ariano 2 morti. Campania: +4.079: da domenica zona rossa

 

ARTICOLI CORRELATI