“Metti il diavolo a ballare” di Teresa De Sio

Ilde Rampino recensisce per Nuova Irpinia il romanzo della cantautrice napoletana, denso di storia popolare e antropologia, che rivela in realtà un sottofondo drammatico di grande attualità

“Metti il diavolo a ballare” di Teresa De Sio. La storia, circondata da maldicenze di una diversità: Archina Solimene, che uscì dal ventre di sua madre “piccola piccola”, portandola in seguito alla morte, sembra recare in sé un marchio di stranezza che fa paura. La bambina, lasciata sola per una colpa misteriosa, avverte il disprezzo di suo padre e trascorre un’infanzia lasciata a se stessa, sostenuta soltanto dall’affetto di sua sorella Filomena, “mansueta come una mucca” e di Donna Aurelia, che l’ha aiutata a venire al mondo. Arriva un giorno in cui Archina diventa preda di fenomeni incomprensibili e la spiegazione più plausibile è che sia stata morsicata dalla taranta: io credo che sia tutto scritto che “stava dentro il corpo” e la faceva star male. Suggestiva è la descrizione vivida, densa di particolari, del rito di liberazione dal Diavolo, che secondo la credenza,  aveva preso possesso del suo corpo e che poteva essere cacciato soltanto “con i suoni”; per tre giorni i suonatori eseguirono musiche con un ritmo ossessivo e stentoreo mentre Archina ballava, agitandosi in modo compulsivo, accompagnata dal suono del tamburo e dalla voce di Donna Aurelia che invocava “Santu Paulu”, finchè ”le porte della casa invasa dal Diavolo si fecero liquide” e lei fu liberata da quella presenza nefasta.

La vicenda si dipana attraverso il racconto del Carnevale, in cui tutti si travestono, come Narduccio, vestito da donna che cammina per le strade, nascondendosi dietro quella maschera, ma sentendosi libero di manifestare la propria allegria e di osservare da lontano Archina che assume un’espressione grottesca, mentre il suo vestito si gonfia attorno alle sue gambe troppo magre. Accanto a un senso di destino incomprensibile – “io credo che sia tutto scritto” – permane un clima avvelenato da sospetti e maldicenze, da cattiverie perpetrate soprattutto dalle gemelle Fatima e Candelora Santo, donne arcigne, orfane di madre insieme al fratello, che hanno trasformato la loro infelicità in rabbia e rancore verso gli altri, come Virginia la parrucchiera, chiamata “la Sapùta”, vittima di un amore malato e passionale per Angelo Santo, che poteva esprimere sono nei giovedì in cui le sorelle erano fuori: “in quei giovedì Virginia sentiva di essere qualcosa per lui”. Alla notizia della sua gravidanza le parole di Angelo: ”Tu non esisti” le scavarono dentro un baratro di solitudine, ma lei decise che quel figlio sarebbe nato, anche se poi le sarà tolto: Severino crescerà senza di lei, affidato ad un’altra famiglia, protetto dalle donne di casa e soprattutto da Archina a cui lo legherà un affetto speciale, anche perché entrambi subiranno un “pesante senso di marginalità”.

Le vicende dei personaggi sono permeate da un groviglio di passioni e cose sedimentate nel tempo, di imbrogli e sotterfugi per accaparrarsi ricchezze o prestigio, strategie di seduzione femminile per ottenere favori, che però lasciano l’amaro in bocca. Narduccio viene trovato morto da sua moglie che accusa Archina di aver utilizzato una polvere velenosa; ancora una volta accuse ingiuste, una e vera e propria persecuzione nei confronti della ragazza, che, in realtà, nasconde un segreto inconfessabile che nessuno conoscerà mai. Nelle ultime pagine del libro Archina rivela tutta la sordida storia che suo malgrado l’ha coinvolta: ”ormai mi sento libera!”, va a prendere Severino per portarlo da sua madre per legittimare finalmente la verità. Vi è un tremendo atto di accusa contro suo padre che sta morendo, nominandogli tutte le persone morte per colpa sua e gode della paura che vede nei suoi occhi. Alla fine giunge a compiere un gesto decisivo e significativo, esprimendo tutto il suo odio verso colui che avrebbe dovuto proteggerla e invece a 13 anni l’ ha costretta a vivere un’esperienza terribile e dolorosa che l’ha segnata per sempre. Soltanto attraverso questo odio, vomitato come un veleno infinito, Archina sente di poter cominciare a vivere, amara conclusione.

A cura di Ilde Rampino

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