Atripalda, Luigi Caputo: lettera (aperta) a mio padre

L'ex consigliere comunale di Rifondazione comunista con questa missiva al padre recentemente scomparso parla di una sanità che egli descrive come tristemente non ancora in umanizzata

Con una lettera al padre recentemente scomparso, Luigi Caputo, già consigliere comunale di Atripalda ed esponente di Rifondazione comunista, esprime nel dolore per la grave perdita il rincrescimento per il contesto nel quale il triste evento si è compiuto. La lettera di Caputo è un atto di accusa nei confronti di una sanità che egli descrive come non ancora in umanizzata, di fronte alla vicenda umana in bilico perenne tra la vita e la morte. La sua constatazione amara è che l’empatia non rientra nel prontuario medico, né la solidarietà umana può essere disposta attraverso un protocollo burocratico. Sono doverosamente omessi riferimenti a persone e circostanze specifiche.


Un figlio scrive alla memoria di suo padre

Caro Papà,

l’ultimo libro di Sabino Cassese giace intonso sulla scrivania. Avevo pensato di regalartelo per la festa del papà, ma il corso degli eventi ha preso purtroppo un’altra direzione. Sei venuto a mancare il 15 marzo ad Ariano Irpino, paese di origine della nonna, in un ospedale complessivamente scadente e in un ambiente chiuso e a tratti ostile. So che, partendo dal tuo illustre concittadino, avresti cominciato a sciorinare ricordi della vecchia Atripalda, del centro storico, di via San Giacomo. L’”atripaldesità” come valore aggiunto, come importanza delle radici, non come feticcio.  Un’appartenenza che non ti mai impedito di levare alto il tuo sguardo sul mondo, di vivere pienamente il tuo tempo, da roccioso uomo del Novecento. Quel mondo in cui hai vissuto seguendo due grandi stelle polari: il cristianesimo come fede religiosa e il socialismo come fede politica. Questi sei difficili e faticosissimi anni, sono stati tuttavia per molti aspetti preziosi.

Ogni passo dato, una piccola conquista. A me la tua forza d’animo ha trasmesso un’energia straordinaria, che mai avrei pensato di possedere. Innanzi tutto, sono stati anni di dialoghi intensi, di confidenze, di letture, di riscoperte, di racconti, di emozioni forti e irripetibili, di vicinanza fisica, di tenerezza, anche.  Inoltre – anche se questo può sembrare un po’ strano – sono stati anni nei quali ci siamo conosciuti meglio.  Soprattutto, sono stati gli anni in cui ha visto nascere e crescere Francesco, l’agognato nipotino che ti somiglia tanto. Sono stati anni, dicevo, costellati di ricordi e rievocazioni, quasi che la difficoltà a muoversi nello spazio, imposta dalla malattia, avesse accresciuto la tua capacità di muoverti nel tempo, consentendo di recuperare alla memoria comune particolari, persone, dettagli, storie inedite a volta.  Ti brillavano gli occhi quando parlavi dei tuoi primi incontri con la mamma, seguiti dal fidanzamento e dal matrimonio.

Ti commuovevi quando parlavi del grande, vittorioso sciopero del ’69, e dei compagni della vecchia guardia SFI, i Borriello, i Cascetta, i Nicola Iandolo (“o’ Cafone”) che quando, non ancora diciottenne, fosti assunto in azienda in seguito all’abbandono forzato del nonno, ti avevano preso sotto la loro ala protettiva. O ancora, quando, andando ancora più indietro con i ricordi, rievocavi quella favolosa manifestazione di fine anni ’50, che vide l’intera popolazione atripaldese ergersi a difesa dei suoi filovieri, sottraendo i lavoratori licenziati a un destino che qualcuno voleva già scritto.

Caro Papà, i ricordi in questo momento scorrono confusi come in un film: ripenso alla poltrona verde, alla bustina di mezzanotte, alla spaghettata “olandese”, alla befana del 69 al “primo treno”, alla lettera di Manlio Rossi Doria, a Pasquale Stiso, alle poesie per Francesco, ai biglietti di auguri per mamma quando si trovava lei in ospedale.

Caro Papà, avrei voluto parlare esclusivamente di ideali, valori, amicizia. In una sola parola, di bellezza. Invece, mi vedo costretto a trattare anche di miserie umane. E il solo vedere accostato nello stesso scritto il tuo nome a quello di certi tristi e loschi figuri, mi sembra sconveniente e penoso, come l’avvicinare la pura corrente e la sporca schiuma, ovvero l’albatros e degli avvoltoi.

(…).

Anche perché, come avresti detto TU, la LOTTA CONTINUA. Ed io te lo prometto, la porterò fino in fondo.

Con immenso affetto e gratitudine

Tuo figlio Luigi

21 marzo 2019

ARTICOLI CORRELATI