“Nostalgia” di Ermanno Rea. Letture della domenica

Il tema del ritorno, con le sue incertezze, le sue paure, il senso di estraneità e al contempo di familiarità che lega indissolubilmente il protagonista Felice Lasco a Napoli e soprattutto al Rione Sanità

“Nostalgia” di Ermanno Rea. Il tema del ritorno, con le sue incertezze, le sue paure, il senso di estraneità e al contempo di familiarità che lega indissolubilmente il protagonista Felice Lasco a Napoli, alla sua città e soprattutto al Rione Sanità, la più derelitta tra le sue aree urbane aleggia tra le pagine di questo intenso romanzo. In ‘Nostalgia’ di Ermanno Rea, tra i vicoli di Napoli si avverte una sorta di carnale aggressività, ma anche il ricordo dei morti come ossessione collettiva e una profonda sensazione di “grembo materno”: in essi vi sono le radici del nostro male di vivere, di un percorso interiore in cui “tu non puoi fare altro che sparare, perché te lo dice la vita”, ma ciò ti condanna irrimediabilmente alla solitudine, come Oreste Spasiano, il cui soprannome “Malommo” lo ha accompagnato sin dall’infanzia, condannandolo in un certo senso a un destino già scritto.

“Nostalgia” di Ermanno Rea

Il rapporto tra Felice e Oreste era esclusivo, ma anche morboso e dipendente, sembravano una cosa sola, anche se avevano alle spalle famiglie completamente diverse: i genitori di Oreste erano orgogliosi della propria rozzezza, mentre la madre di Felice era dotata di un’eleganza naturale, faceva la guantaia e vi era un grande assortimento di pelli accanto alla sua macchina da cucire Singer, che per lei rappresentava il mezzo per distinguersi, attraverso il suo lavoro, in quell’ambiente degradato che la circondava e le sue parole “Tu non sei come lui” rivolte a suo figlio le parole affermavano il suo desiderio di affrancarlo da quel mondo di violenza in cui si muoveva Oreste. A sedici anni Felice, sostenuto da sua madre, aveva scelto la fuga dopo il terribile fatto di sangue che l’aveva sconvolto ed era andato in Africa a lavorare presso uno zio per la costruzione di un lago artificiale. Il contatto con persone diverse e lo stupore davanti a realtà per lui sconosciute – i neri sorridevano sempre – aveva creato un muro che l’aveva allontanato dalla sua città, di cui non voleva parlare, un oblio completo del passato che esprimeva tuttavia il disagio profondo della sua anima. Era come se avesse dimenticato tutto, era diventato ”l’uomo che non ritorna”. Solo dopo la morte dello zio, aveva ricominciato a scrivere lettere alla madre, ma non ottenendo risposta, aveva deciso di tornare a Napoli. L’incontro con la sua città, dopo quarantacinque anni di assenza, lo turba profondamente : ”ero una cosa poi sono diventato un’altra”. Felice avvertiva la presenza di una forza oscura dentro di sé, un animo tormentato, alla ricerca della propria smarrita identità, si sentiva uno straniero e cominciava a pensare che forse “i fili che si spezzano non si riannodano più”. Camminando per i vicoli, per cercare la casa di sua madre, si rende conto che forse aveva odiato quella strada e quell’odore che apparteneva alla sua infanzia. All’amara scoperta che lei vive in un tugurio, dopo aver venduto l’appartamento a Oreste, avverte un profondo senso di colpa perché lei, ormai molto vecchia, si era lasciata andare: si prende cura di lei, di quel ”residuo della madre”, la lava e quell’ immagine forte sarà per lui indimenticabile. Circondata dai vicoli, si erge un simbolo di questo luogo: la basilica di Santa Maria della Sanità, che per gli abitanti della zona non era solo un luogo fisico, ma un’emozione, l’accoglienza e il prendersi cura dei turbamenti e del disagio profondo soprattutto di coloro che vivono in situazioni difficili, facile preda della malavita. E’ proprio lì che don Luigi Rega, un prete assolutamente “fuori dagli schemi” è sempre in prima

linea per combattere i soprusi, attraverso un’incredibile capacità di ascolto nei confronti dei giovani, che non si ferma davanti a nessuna pressione o minaccia, perché crede nella necessità di una cultura nuova che dia speranza e nuove possibilità a chi vede solo l’oscurità dentro e fuori di sé. Dopo la morte della madre, Felice sente dentro di sé che il passato non si dimentica e restava ancora aperta la sua partita con Oreste: ricorda le loro corse su per la salita di Capodimonte dove Felice era solito sfrecciare con la sua moto Gilera 125, le loro bravate giovanili e gli scatti di improvvisa violenza di Oreste. Si confida con padre Rega che gli consiglia di fuggire, ma egli ormai ha preso una decisione, che sa già che sarà irreparabile: vuole incontrare Oreste. Quando si guardano negli occhi, Felice avverte nell’altro le tracce di un odio potente e Spasiano gli intima di andarsene. Felice è determinato a rimanere e cammina per i vicoli in un cerimoniale nevrotico e in un certo senso di sfida, perché è consapevole di quello che sarà il suo destino.

A cura di Ilde Rampino


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