“Il vino della solitudine” di Irène Nemirovsky

Un’infanzia triste che lascia le sue tracce amare nella vita: segni striscianti di disperazione, di mancanza d’amore che si incarna in un’apparente indifferenza ai sentimenti, mentre Hélène, la protagonista, trascina stancamente la sua esistenza innalzando dei muri per non soffrire

“Il vino della solitudine” di Irène Nemirovsky. Un’infanzia triste che lascia le sue tracce amare nella vita: segni striscianti di disperazione, di mancanza d’amore che si incarna in un’apparente indifferenza ai sentimenti, mentre Hélène, la protagonista, trascina
stancamente la sua esistenza innalzando dei muri per non soffrire, nel suo disperato e alienante rapporto con sua madre, sostenuto da una vana speranza di cambiamento. La frase che dice a se stessa nella solitudine dell’infanzia: “Voglio essere una bambina felice” assume il tragico significato di una perdita di identità, della ricerca di un sorriso rivolto solo a lei, all’interno di una famiglia in cui le identità e i ruoli si sono dispersi e aggrovigliati in un coacervo di menzogne e amarezza.

Seduta a tavola, la famiglia mangiava in silenzio: Hélène aveva otto anni e ricordava che sua madre si alzava e si sedeva in poltrona a leggere il suo giornale di moda, si disperdeva tra i suoi sogni ad occhi aperti, sognava Parigi per essere sola e libera. Sua madre, simulacro perdente e senza speranza di una perenne insoddisfazione, indugia sul terreno delle parole che feriscono, lasciando orme di disinganno, mentre suo padre, travolto dalla brama di ricchezza e dal demone del gioco, non riesce a fermarsi e rischiava enormi somme al casinò, catturato in una sorta di delirio di onnipotenza. Hélène non si sentiva amata: l’unico bacio che la bambina accettava era quello del padre, mentre rari erano i momenti di tenerezza da parte di sua madre, la considerava cattiva nei suoi confronti, perché la rimproverava continuamente. Sentiva dentro di sé uno “strano e indecifrabile “dolore,
quando pensava a sua madre e al fatto che lei uscisse di notte in compagnia di giovani ufficiali, era certa che avesse degli amanti.

Un giorno la madre porta Max, un giovane, a casa e la bambina comprende che sarebbe divenuto il vero padrone della sua vita, comincia ad odiarlo e si rende conto della superficialità e dell’insensibilità di sua madre. L’unica persona con cui Hélène riesce ad avere un rapporto affettivo è con Mademoiselle Rose che si occupa di lei: la bambina non conosce la sua vita ma le è molto legata e riesce a confidarsi solo con lei. Un giorno escono insieme e Rose le prende la mano e, come in preda ad un fuoco ardente e ad una sorta di pazzia, comincia a trascinarla con sé, sembrava che si sforzasse di lottare contro il
suo destino, finchè cade a terra priva di sensi e morirà poco dopo. Sarà un dolore profondo per Hélène, che avvertirà una profonda solitudine: chiude in baule le sue povere cose e il cappotto ancora impregnato della nebbia della sua ultima sera e non pronuncerà mai più davanti ai suoi genitori il nome di lei, come un segreto nascosto nel suo cuore.

E’ un romanzo pieno di silenzi, di paura delle parole che potrebbero svelare qualcosa di torbido i di interiore: sembra che i protagonisti cerchino qualcosa sempre al di fuori, allontanandosi da se stessi, in un’eterna paura di fermarsi e rivelare così la loro vera natura. Ne fa eccezione Hélène che, tuttavia, pur trascinata dalle scelte degli altri, percorre un proprio cammino interiore, avvelenato dall’odio e dalla vendetta, ma con uno scopo: la sua indipendenza. Col trascorrere degli anni, Hélène acquisterà sempre maggiore sicurezza in se stessa, comincia a conquistare i giovani e diventa consapevole del suo potere di
donna: la madre, intanto, comincia ad invecchiare e sente di perdere il suo fascino e la sua importanza, rimpiange la sua giovinezza e il fascino che aveva sugli uomini, mentre acuto si fa il rimpianto per un’avventura mai vissuta.

A cura di Ilde Rampino

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