Ristoratori a rischio chiusura: “Senza sostegni ma con le tasse”

La titolare del ristorante di Torella dei Lombardi Michela Ciminera e suo marito esternano lo sconforto per il prolungato fermo delle attività. "Con le chiusure vanno sospese le tasse, altrimenti si penalizza chi ha investito"

Ristoratori a rischio chiusura, “Senza sostegni e con le tasse da pagare”. Chiusi da settimane i ristoratori sono allo stremo. Soprattutto chi ha investito da poco e non rientra fra i beneficiari dei “sostegni” previsti dall’ultimo decreto. Incassi davvero limitati servono soltanto a pagare le tasse, a rispettare le scadenze. Lo sconforto degli operatori è ben rappresentato da una foto scattata da una ristoratrice di Torella dei Lombardi a suo marito Vincenzo. Proprio nel giorno in cui arriva l’annuncio del Governatore Vincenzo De Luca sulla ridefinizione delle categorie della campagna di vaccinazione per andare incontro a ristoratori e altri operatori economici. I ristoratori, come altre categorie, hanno la necessità di riaprire i battenti, per evitare di chiudere definitivamente le attività. In Alta Irpinia sono diverse le attività legate alla ristorazione che hanno abbassato la saracinesca, soprattutto le nuove attività che sono nate alla vigilia della pandemia e che sono state tagliate fuori dai ristori.

Ristoratori a rischio chiusura, “Senza sostegni e con le tasse da pagare”

“Non siamo rientrati in nessuna forma di ristoro, perchè la nostra attività è nata da poco. L’attività è chiusa e i costi fissi sono sempre gli stessi, ormai la nostra è pura sopravvivenza” denuncia Michela Ciminera, titolare insieme al marito del ristorante “Castello Ruspoli ristorante pizzeria Dimore Candriano”. “Il nostro è un piccolo paese e già scontiamo un naturale isolamento che non ci può mettere a paragone con le attività delle città. Lavoriamo solo il fine settimana e solo per l’asporto. Riusciamo a pagare le bollette e a garantire la busta paga ai pochi dipendenti che abbiamo. Il disagio è per tutti, lo sappiamo bene ma questa situazione non è più tollerabile” argomenta. Il Comune ha dimezzato il fitto della struttura supportando il ristorante in questa delicata fase, ma anche l’attività di fittacamere è stata congelata, comportando un doppio danno. “Quando è stato possibile abbiamo lavorato, ma le aperture a singhiozzo non hanno prodotto benefici. Le chiusure sono state annunciate con 48 ore di anticipo e abbiamo dovuto buttare la spesa che avevamo fatto. Abbiamo perso ulteriori soldi. Purtroppo non vediamo la luce in fondo al tunnel e i momenti di scoraggiamento sono frequenti”. La condizione denunciata da Michela Ciminera accomuna 300mila aziende che hanno aperto la partita Iva nel 2018 e che dopo essersi dedicati alle attività di ristrutturazione del locale hanno registrato l’inizio attività l’anno successivo. “Noi risultiamo attivi da giugno 2019, quindi non abbiamo diritto a nessun ristoro, credito d’imposta sui fitti, nè al bonus ristorante per l’acquisto di prodotti italiani. Noi compriamo tutti prodotti locali e ci stiamo dando parecchio da fare. Abbiamo proposto panini, sushi, pizza e menù da asporto, per adeguarci alla situazione. A Natale abbiamo prodotto panettoni e colombe a Pasqua. Non vorremmo mollare ma il disagio ormai è intollerabile”. La classificazione di zona rossa o arancione per i ristoranti cambia poco. Possono riaprire solo in zona gialla. “Alla luce degli annunci del Governo l’attesa è ancora lunga e siamo in balia delle notizie altalenanti sulla vaccinazione” continua Michela. “I ristori vanno calibrati sui costi fissi che sostiene un’attività, e alle chiusure avrebbe dovuto corrispondere il congelamento delle tasse e dei costi fissi”. L’andamento delle attività economiche nelle aree interne è assai diverso da quello dei centri metropolitani. La ristorazione qui funziona la sera, per le cerimonie e nel fine settimana. L’apertura del pranzo è principalmente legata ala presenza di servizi, di uffici pubblici che non ci sono. “Le ultime direttive della Regione Campania citano l’apertura dei ristoranti solo per gli spazi all’aperto, ma il Governatore non sa che a maggio in Alta Irpinia le temperature non consentono di cenare all’aperto. Ci sentiamo abbandonati dallo Stato, che non considera che abbiamo figli, tasse da pagare, bollette che arrivano puntualmente. Chi ha investito è stato penalizzato e così si decreta la morte definitiva di queste realtà” conclude.


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