Il taccuino del diavolo, il nuovo libro di Mario Gabriele Giordano

Recensione del romanzo storico ambientato ad Avellino e liberamente ispirato a un processo giudiziario del 1886

Esce in libreria e on line “Il taccuino del diavolo” di Mario Gabriele Giordano. Si tratta di un romanzo storico ambientato ad Avellino e liberamente ispirato a un processo giudiziario del 1886. Di seguito la recensione.


La Bella Avellino di Antonio Forgione: Piazza della Libertà e la Chiesa di San Francesco

di Ilde Rampino

“Il taccuino del diavolo” di Mario Gabriele Giordano. La storia d’amore di due giovani, Leonardo e Giuliana, si inserisce in uno spaccato della società ottocentesca che rivela una certa chiusura dal punto di vista mentale nei confronti dei cambiamenti e soprattutto vi è sottesa un’abitudine al giudizio che porta spesso alla stigmatizzazione di alcune persone che si comportano in modo diverso dagli altri. Il pregiudizio spesso fa da padrone e il vizio del gioco, “il mostro della cupidigia”, come è denominato da uno dei personaggi della vicenda, diviene la trama su cui imbastire una discussione da parte di una classe sociale elevata che si ritiene lontana da simili tentazioni. Leonardo, figlio di contadini, chiede la mano di Giuliana “figlia della Madonna” che è stata adottata da una famiglia agiata e lui la vede quasi come un sogno che non può realizzare, perché si sente inferiore a lei; la loro è una storia tormentata a causa delle dicerie e della cattiveria della gente: decidono di sposarsi, prima che “scoppi la bomba”, prima cioè che i sospetti che serpeggiano tra le persone diventino certezza, perché ognuno si arrogava il diritto di “sputare sentenze” su qualsiasi argomento e metteva in cattiva luce gli altri. Al centro della storia, narrata nel libro, un processo che coinvolge molta  gente della città e che si svolge in Piazza Libertà, nel centro di Avellino diventa una cassa di risonanza per mettere a confronto il comportamento senza ombre della classe agiata, le sue ville, adornate in modo splendido, simbolo di ricchezza tramandata, che si affacciano su un meraviglioso paesaggio e i vizi a malapena celati dei cosiddetti arricchiti, le cui colpe ricadono su tutta la famiglia. E’ il caso di Agostino, il “Diavolo zoppo” che viene accusato ingiustamente, a causa del suo vizio del gioco, di essere il mandante dell’omicidio dell’Eremita. L’arresto di un colono, amico del padre di Leonardo, scatena una ridda di ipotesi: nella sua casa è stato trovato un vecchio ferito, con le membra fratturate che si scoprì essere un frate, un “povero diavolo”, chiamato l’Eremita, la cui unica colpa era di fornire dei numeri per giocare, frutto dei suoi sogni. Il desiderio di arricchirsi a scapito degli altri e l’illusione di ottenere un prestigio legato al guadagno – che naturalmente si rivela poi vano – ha portato tante persone a rapire il vecchio e addirittura trasportarlo da una casa all’altra, per farsi dare i numeri giusti: un simulacro di avidità senza precedenti. Leonardo, sospettato di connivenza col padre, viene chiamato dai carabinieri e Giuliana gli sta vicina, sostenendolo con il suo amore, opponendosi anche alla volontà dei suoi genitori e, durante il processo, lo conforta con la sua presenza, attirandosi anche lo scherno della gente assiepata nel tribunale. L’autore mette in rilievo l’arroganza dei giudici e il loro atteggiamento nei confronti di Agostino che verrà condannato a sette anni, esempio di una giustizia ottenebrata dal pregiudizio, anche se fortunatamente alla fine Leonardo verrà assolto. Il processo era diventato l’argomento principe delle conversazioni tra le persone e fremente è l’attesa, da parte della “piccola brigata” invitata dal Cavaliere a recarsi in campagna, dell’arrivo di suo nipote che aveva studiato fuori e perciò, secondo una mentalità provinciale, si era fatto un nome e aveva acquisito una parvenza di autorevolezza, e che doveva riferire sugli esiti del processo, mentre si discute sulla questione del brigantaggio e si ammira il paesaggio, narrando storie e leggende di Montevergine, come quella dei nodi delle ginestre, fatti dai fidanzati. Una vicenda narrata attraverso le vie, le piazze e le chiese della nostra città, facendocele rivivere in una passeggiata che diventa ricordo, ma attraverso le pagine del libro, si avverte nostalgia e rimpianto per tanti luoghi , come la Chiesa dell’ Annunziata, la Chiesa di San Francesco, i Gradoni del Triggio, Piazza del Popolo, dove si teneva il mercato bisettimanale: luoghi che oggi, purtroppo, hanno perso il loro significato e il loro valore, sono addirittura scomparsi o hanno subito dei mutamenti  a causa delle demolizioni operate dalla mano dell’uomo, non tenendo conto di secoli di storia e di arte, ma sono state anche  “vittime materiali” del terribile terremoto del 1980. Al di là della vicenda personale traspare il malcontento postunitario per la realizzazione di un Paese costruito in maniera ingiusta, che ha considerato il Sud terra di conquista, trascurando le sue enormi potenzialità.


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