Escalation del Covid-19 in Irpinia, Controvento: ora un Piano

L'ANALISI. Il documento: «L'incremento della domanda di assistenza e ospedalizzazione in provincia di Avellino richiede un ripensamento del modello, rilanciando la medicina territoriale»

L’Associazione Controvento interviene con un documento per commentare la risposta sanitaria alla escalation del Covid-19 in Irpinia. «Mentre l’intera Italia ripiomba nell’emergenza da pandemia da Covid-19 e anche l’Irpinia è investita da un’ondata preoccupante del virus, per i nostri responsabili della sanità la questione pare ridursi esclusivamente a una dimensione logistica», osserva l’Associazione. Di fronte all’escalation del Covid-19 in Irpinia, conclude Controvento, occorre un ridisegno compiuto basato sulla medicina territoriale. Di seguito la nota.


L’emergenza da pandemia non può ridursi esclusivamente a una dimensione logistica

Documento dell’Associazione Controvento | L’escalation del Covid-19 in Irpinia

Generoso Picone, Presidente della Associazione “Controvento”, già Vicesindaco e Assessore del Comune di Avellino nelle Giunte presiedute da Antonio Di Nunno

Mentre l’intera Italia ripiomba nell’emergenza da pandemia da Covid-19 e anche l’Irpinia è investita da un’ondata preoccupante del virus, per i nostri responsabili della sanità la questione pare ridursi esclusivamente a una dimensione logistica. Per l’associazione “Controvento” ciò è semplicemente sconcertante: perché dimostra l’assoluta incapacità a individuare i nodi nevralgici del problema e perché nella paradossale disputa in campo si rivela la deriva ultralocalistica dell’amministrazione e della politica irpina. Nella scorsa primavera – con un articolato documento che era il risultato di un confronto aperto con gli operatori sanitari non soltanto della provincia di Avellino – l’associazione “Controvento” sottolineò la necessità di affrontare il tema della cura alla persona a partire obbligatoriamente dalla medicina territoriale: da quel settore della sanità pubblica, cioè, che per anni era stato dimenticato e marginalizzato a favore di una ospedalizzazione spinta della cura. Con il risultato, poi, di non avere più presidi di base in una provincia che conta una popolazione tra le più anziane e fragili del Sud e di aver contemporaneamente visto smantellata la rete ospedaliera costruita nei decenni scorsi.

Covid Hospital di Avellino. Interno del reparto destinato alle degenze dei positivi al coronavirus in Irpinia presso l’Azienda San Giuseppe Moscati

Oggi occorrerebbe chiedersi quanti di coloro tra politici e amministratori che affermavano di voler ripartire dalla medicina territoriale abbiano agito di conseguenza, pure con un minimo e simbolico gesto che lasciasse intravedere l’inversione di rotta. E’ successo, invece, che alle già note deficienze si siano presto aggiunte le difficoltà – per esempio – nell’avviare una decente campagna di vaccinazione antinfluenzale stagionale. Altre realtà, come l’Emilia Romagna, dove funzionano i poliambulatori, hanno già esaurito la prima tranche del vaccino. Le conseguenza saranno che l’onda influenzale – ordinaria e assolutamente prevedibile – rischia di travolgere i Pronto soccorso degli ospedali e quello dell’Azienda “Moscati” innanzitutto. Lo scorso 15 ottobre, l’Unità di Crisi Regionale ha inviato alle Aziende Ospedaliere e Sanitarie e agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico della Campania una nota che disponeva il numero di posti letto Covid che ciascuna azienda avrebbe dovuto garantire. In particolare, per la provincia di Avellino, all’Azienda “Moscati” erano richiesti 103 posti ( 20 di terapia intensiva, 38 di terapia subintensiva e 45 di degenza), mentre all’ Asl 58 posti ( 13 di terapia intensiva, 15 di subintensiva e 30 di degenza).

L’Asl di Avellino. Nella foto gli uffici direzionali di via degli Imbimbo nel capoluogo irpino

L’associazione “Controvento” ritiene che, per ragioni facilmente intuibili legate alla necessità di ridurre il rischio contagio ma anche al bisogno di ottimizzare e concentrare le risorse umane, tali posti letto andrebbero assolutamente concentrati in poche strutture, lasciando evidentemente all’Azienda “Moscati” (Dipartimento di emergenza e accettazione di II livello) e all’ospedale “Frangipane” di Ariano Irpino (Dea di I livello), la certezza di poter continuare ad occuparsi dell’altissima, alta e media specialità, nelle varie discipline che non devono assolutamente subire limitazioni. Se è vero infatti che il problema Covid oggi riveste un’ importanza fondamentale, è altrettanto indubitabile che patologie altrettanto o ancor più gravi (cardiovascolari, chirurgiche, neurologiche, oncologiche, eccetera), determinano livelli di mortalità elevatissimi , resi ancor più marcati dal timore che i cittadini hanno, di recarsi in ospedale per il timore del contagio; e se, come prevedibilmente accadrà, la pandemia non dovesse esaurirsi nello spazio di poche settimane, occorre che le scelte siano razionali e non penalizzanti per l’ utenza , che ha il diritto di avere garantito, in sicurezza, il proprio diritto alla salute, anche al di là del Covid.

L’ex ospedale Maffucci di contrada Pennini ad Avellino

Da qui l’idea che all’Azienda “Moscati”, nella palazzina Alpi, separata dagli altri edifici, vengano garantiti i soli 20 posti di terapia intensiva Covid, con apparecchiature e professionalità allo scopo destinate, così come , peraltro è garantito. Così come al “Frangipane” di Ariano Irpino, nella vecchia ala in cui sono in corso lavori di ristrutturazione, possono allocarsi i 13 posti intensivi Covid assegnato alla Asl. Tutto questo, allo scopo di non interrompere la normale attività, riguardante le altre discipline che i due maggiori ospedali della provincia svolgono quotidianamente: potrebbero funzionare reparti chirurgici e lo stesso Pronto soccorso, con la chiusura del Reparto di Rianimazione non Covid, come annunciato, nell’ospedale di Ariano?  Per quanto concerne invece gli ambiti Covid meno gravi (quadri subintensivi e paucisintomatici) esistono opzioni sicuramente più valide e razionali. Come, convertire il “Landolfi” di Solofra, attuale presidio dell’Azienda “Moscati”; convertire il “Criscuoli” di Sant’Angelo dei Lombardi; ripristinare il vecchio “Maffucci” che è stato oggetto di lavori di ristrutturazione; ripristinare il “Di Guglielmo “ di Bisaccia .

L’ospedale ‘Moscati’ di Avellino, reparto interno

E’ evidente che qualunque opzione debba passare necessariamente per una redistribuzione delle risorse umane presenti, ma soprattutto per l’acquisizione corposa di nuovo personale delle varie figure professionali. Gli organici attualmente sono ridotti all’osso e, per molta parte, costituiti da personale precario (sia fra i medici che tra gli infermieri, che tra il personale sociosanitario). Sono carenze che rischiano di aggravarsi alla luce delle assunzioni a tempo indeterminato che Aziende campane, ma soprattutto extraregionali hanno messo in essere. La Regione Toscana ha appena assunto circa tremila infermieri a tempo indeterminato, mentre l’Emilia Romagna sta per incamerare , con la stessa modalità, addirittura quattromila operatori del medesimo ambito: tra di loro ci sono molti giovani irpini. Una cosa è certa, vista la bufera in atto: bisogna decidere presto e bene.


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