Nocciola, Rubinaccio: l’Irpinia accetti la sfida di Ferrero

L'intervento del consulente agronomo e coltivatore, socio Copagri Campania: serve un metodo unico di coltivazione per entrare nella Rete della azienda dolciaria di Alba, come ha già fatto la Basilicata

Mentre in Basilicata è già nata la filiera lucana della nocciola per Ferrero, in Irpinia la macchina è ancora ferma. Le ragioni le spiega Giampaolo Rubinaccio, consulente agronomo e coltivatore. L’obiettivo dell’industria dolciaria di Alba è quello di produrre nocciole della migliore qualità possibile- e quella registrata in provincia di Avellino viene considerata tutta di prima fascia, ma è necessario che la quantità di lotti minimi richiesti ai produttori, rispettino gli standard previsti da Ferrero, spiega il coordinatore “area frutta a guscio” dell’Organizzazione interprofessionale Ortofrutta Italia. Di qui la necessità di investire in figure tecniche e scientifiche in grado di aumentare lo standard di qualità delle produzioni, esattamente come si sta facendo sul vino. E’ arrivato il momento insomma, di mettere in discussione il metodo di coltivazione se davvero il comparto vuole decollare ed entrare nel mercato internazionale come player mondiale della nocciola. “Le criticità insistono a monte, sono riscontrabili nei singoli produttori: sono pochissimi i coltivatori che traggono reddito solo dalla produzione di nocciole, mentre tanti hanno ereditato terreni e si ritrovano casualmente a produrre. In Irpinia una assise di produttori c’è, ma manca un ragionamento comune sull’agroalimentare”, spiega. Il monito è rivolto al settore nel suo insieme. Le componenti produttiva, commerciale, industriale e dolciaria devono dialogare, comprendere che “solo investendo nella filiera sarà possibile usufruire di contratti di filiera, di una rete imprenditoriale, difendere i prezzi e la competitività”. Altrimenti, mette in guardia, il rischio è cedere al mercato estero, da dove spesso arriva un prodotto non sano quanto quello irpino. Ed ecco come.

La Ferrero di Sant’Angelo dei Lombardi, nell’area industriale di Porrara

LA PRODUZIONE IN IRPINIA. La ricchezza di varietà aiuta sul piano della sanità del prodotto, ma non su quello commerciale. In Irpinia sono tante le tipologie oggi coltivate. “La mortarella ha un solo consumo: serve per il taglio industriale ed è utile a smorzare il sapore amarognolo di altre qualità presenti sul mercato” spiega. “La Giffoni irpina va sui mercati ma non ha un suo disciplinare quindi resta in forma anonima: parliamo della produzione dell’areale fra Solofra, Serino e Montoro, a ridosso dei Picentini. Poi c’è la tonda, che si presenta uniforme per dimensioni e viene utilizzata particolarmente nel periodo natalizio e in Puglia, dove viene consumata così com’è”.

LA COMMERCIALIZZAZIONE OGGI. Oltre alla produzione, la filiera prevede la commercializzazione del prodotto. Le nocciole irpine vengono vendute a otto aziende campane che si occupano della sgusciatura: la qualità del prodotto viene determinata da un metro di valutazione acquisito dalla Ferrero, e considerato valido dalla maggior parte delle industrie di trasformazione. La suddivisione in fascia determina il grado della qualità, e quindi del prezzo e la destinazione del mercato. Il capitolato di acquisto della Ferrero prevede che le nocciole prodotte certifichino degli standard precisi: il rispetto del disciplinare del Ministero della Salute, quindi la salubrità, l’esclusione di diserbanti o altri fitofarmaci, l’utilizzo di strumenti tecnici e un ‘diario di campagna’ che aderisca a determinati standard.

“ADEGUARSI ALLO STANDARD DI FERRERO PER DIFENDERE REDDITO E COMPETITIVITÀ”. Tutti fattori insomma, che determinano il prezzo: 5,70 euro per la prima fascia e 5,00 euro circa per la seconda fascia. Più aumenta nel prodotto la presenza di corpi estranei e si allontana dagli standard di qualità, più il prezzo scende in maniera verticale. “Il faro per tutti è il prezzo di acquisto per la Ferrero” sottolinea Rubinaccio. “Ma parliamo soltanto della selezione di nocciole che hanno superato la certificazione del disciplinare imposto dalla multinazionale”.

“GARANTIRE LA QUALITÀ DEL PRODOTTO”. Per determinare la qualità del prodotto il processo prevede il prelievo di un campione da cento quintali di nocciole, ovvero un chilo, che si sottopone ad analisi di laboratorio, si sguscia e si separa il frutto ligneo da quello edile. “Parliamo di 480 grammi di prodotto finale: soltanto il 49% sarà frutto edibile nel caso della mortarella, che scende fino al 37% in caso di varietà tonda, aprendo un gap enorme fra le due varietà. “Ecco perchè Ferrero non può pagare lo stesso prezzo per tutte le varietà senza fare un distinguo”, puntualizza Rubinaccio. “L’analisi comparativa delle nocciole sgusciate avviene ad occhio nudo e si sottopone ad analisi visiva” continua. “Circa 270 nocciole vengono separate e ciò che non viene considerato commerciale viene depositato in un contenitore per essere sottoposto ad uno strumento che taglia in due la nocciola e verifica se è stata attaccata dalla cimice. In caso positivo, quelle nocciole avranno altra destinazione. Quello che si valuta alla fine è il rapporto fra resa e qualità che non deve superare il 2%, come imposto da Ferrero”.

UNIFORMARE GLI STANDARD DI PRODUZIONE PER CREARE LA RETE. In conclusione occorre una politica dell’agroalimentare in grado oggi di rendere conveniente e opportuno per le aziende di trasformazione a partire da Ferrero attingere alla qualità prodotta in Irpinia, cuore della produzione campana e nazionale. Servono dialogo e sinergia, conclude Rubinaccio, se non si vuole assistere alla migrazione degli operatori Irpini, come pure sta avvenendo verso il casertano.


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