Unci Agroalimentare, Scognamiglio: l’agricoltura sociale opportunità per l’Irpinia

Il presidente dell'associazione cooperativistica illustra le opportunità che l'agricoltura sociale può creare in termini occupazionali e sociali per le comunità locali.

Gennaro Scognamiglio, presidente della Federazione regionale dell’Unione nazionale cooperative italiane

«L’Irpinia e le aree interne del Mezzogiorno dovrebbero scommettere sull’agricoltura sociale, per la valorizzazione delle proprie risorse e per la creazione di nuovi modelli solidaristici». Ad affermarlo è Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci Agroalimentare, che ha organizzato a Montemiletto – insieme all’Unci – Unione nazionale cooperative italiane di Avellino – un convegno sull’argomento. (Leggi l’articolo)

Che cos’è l’agricoltura sociale?

«L’agricoltura sociale è una nuova opportunità, che però già vanta interessanti esperienze concrete, per lo sviluppo del settore agricolo e per i territori. Ispirandosi ad una logica di multifunzionalità vede convergere esigenze diverse, come la necessità di integrare e rafforzare il reddito delle imprese agricole ed il ruolo sociale che esse possono svolgere per la comunità e per la tutela dell’ambiente, sia come vero e proprio presidio del contesto naturale, sia nell’offerta di servizi».

Precisamente, che tipo di servizi vengono offerti?

«Servizi educativi e sociali, come le fattorie didattiche, progetti di educazione ambientale ed alimentare, prestazioni socio-sanitarie per affiancare terapie mediche, psicologiche e riabilitative – si pensi all’ippoterapia -, e l’inserimento socio lavorativo di persone con disabilità o che vivono condizioni di fragilità e svantaggio».

Quali sono gli obiettivi dell’agricoltura sociale?

«Garantire alle imprese agricole e a chi vi lavora, soprattutto quelle di piccole dimensioni, nuove prospettive e creare nuova occupazione, anche per figure professionali di tutt’altro tipo. Ma, come dicevamo, c’è anche uno scopo sociale e solidaristico, che ben si richiama alle caratteristiche tradizionali della civiltà e della cultura contadina. L’agricoltura di per sé svolge già una funzione di argine contro la desertificazione dei territori e di preservazione degli stessi, ma stringendo un più stretto legame con la comunità locale ed integrando la produzione con l’offerta di altri servizi può valorizzare le potenzialità di un comprensorio, diventando promotore del patrimonio naturale, storico, artistico, folclorico, antropologico e delle tipicità agroalimentari ed enogastronomiche, oltre che promotore di socialità».

Può, quindi, diventare anche un attrattore turistico ed uno strumento per i circuiti alternativi?

«Sì, certamente. Agriturismi e turismo del vino e dei sapori tipici, sono già da tempo una realtà, ma ci sono molte altre possibilità che si aprono. L’idea di un turismo responsabile e a basso impatto, che punti su un’idea nuova di ruralità e di sviluppo. L’opportunità di valorizzare i borghi, i campanili d’Italia e le specificità delle zone più lontane dai centri urbani, senza sconvolgerne gli equilibri. Diventa, quindi, importante la sfida della qualità e della tipicità agroalimentare, anche attraverso la tutela ed il recupero di specie vegetali ed animali autoctone o di lavorazioni tradizionali».

In che modo la cooperazione può essere di riferimento per questo settore?   

«La natura ed il fine della cooperazione è il mutualismo, cioè la capacità e la volontà di conciliare il lavoro ed il fare impresa con il bene comune. Attraverso le cooperative si mettono in rete tante individualità e realtà collettive. Un’agricoltura che abbia una dimensione sociale e sia a servizio della comunità locale, dunque, trova nella cooperazione la sua forma più congeniale. Inoltre, associazioni cooperativistica come l’Unci e l’Unci Agroalimentare supportano chi intende costituire o ha già formato un’impresa mutualistica, offrendo assistenza, progettualità e servizi, rappresentando nelle sedi istituzionali le istanze e gli interessi del settore, ma anche vigilando sul corretto funzionamento delle imprese».

Agricoltura sociale ed Irpinia un binomio che può avere un futuro?

«Sì, senza dubbio. La provincia di Avellino è vocata all’agricoltura e sempre più emergono le sue potenzialità. Un territorio straordinario, una ricchezza di prodotti tipici, una bellezza paesaggistica, di storie umane, di testimonianze tutte da scoprire ed un’identità, insieme ai valori, da preservare, senza nostalgie, ma avendo uno sguardo aperto sul futuro. Insomma l’Irpinia e più in generale le aree interne del Mezzogiorno, possono cogliere al meglio la sfida dell’agricoltura sociale, che costituisce un interessante elemento di crescita, soprattutto creando sinergie con altri segmenti ed attività».

Ci sono finanziamenti pubblici e opportunità concrete per chi intendesse impegnarsi ed investire in questo settore?

«L’agricoltura sociale è stata normata nel 2015, con la legge numero 141. La programmazione dei fondi europei 2014/2020 ha previsto misure specifiche per l’avviamento e lo sviluppo di tali attività, concentrando risorse finanziarie soprattutto sull’ultimo anno dell’agenda. Motivo che ci lascia ragionevolmente supporre che anche la prossima programmazione, ancor più di quella attuale, conterrà stanziamenti specifici. Ma esistono anche altri strumenti che possono supportare l’avvio di nuovi progetti ed imprese, come ad esempio il Microcredito, per la cui diffusione stiamo lavorando. Auspichiamo, comunque, una crescente attenzione anche delle istituzioni locali nei confronti di questo settore ed i riscontri che abbiamo sono positivi».

 

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