Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante l'incontro con i Presidenti di Regione del 15 marzo scorso sul decreto "sblocca cantieri". Nella foto anche Luigi Di Maio e Danilo Toninelli

La Lioni Grottaminarda e altre 599 opere bloccate fanno tremare il Governo. Al Senato la maggioranza è scesa sotto quota 161 sulla.mozione di sfiducia al Ministro delle Infrastrutture.

Danilo Toninelli si è salvato per un soffio. Ma al Senato contro la sua sfiducia tecnicamente non ha raccolto la maggioranza assoluta dei voti. Solo 159, contro i 161 minimi che la decretano. Ai tempi della Prima Repubblica sarebbe stato indotto al passo indietro. Nella Seconda si sarebbe avviata la verifica nella maggioranza. Oggi si fa finta di nulla, in nome della continuità.

Il colpo è comunque politicamente pesante. Vale il secondo avvertimento, dopo il primo servito mercoledì nel Consiglio dei Ministri, quando la Lega ha di fatto affossato il decreto sblocca cantieri, in sostanza rinviato alle Camere dove la con la sponda di Forza Italia e del Pd conta di modificarlo sostanzialmente. Il secondo ieri sera, quando ha negato i voti che avrebbero consentito al Ministro di avere la fiducia del Senato. Gli hanno permesso soltanto di salvarsi, per evitare la crisi di governo, che a dire il vero il Movimento Cinque Stelle sta costruendo giorno dopo giorno in un contesto nazionale di crescente solitudine. L’oltranzismo, come si sarebbe detto qualche decennio fa, da sempre nel Paese reale, quello profondo della vita vera, ha provocato un assoluto rigetto.

Salvini lo sa, ma la risalita del Pd lo tiene in ansia. Sa che ci vuol poco a drenare a sinistra, far tornare da Nicola Zingaretti chi era passato ai pentastellati per punire Matteo Renzi. Salvini esita in una fase in cui Romano Prodi si permette appelli europeisti che trovano il consenso nelle grandi città, laddove si era costruito nel 2017 il tonfo dei Democratici e l’avanzata di Lega e 5s.

La granitica alleanza gialloverde che sognava già di prendersi il Quirinale nel 2022, forte di sondaggi che la davano al 60 per cento fino a qualche mese fa, non ha la maggioranza politica al Senato e non riesce ad approvare nel Consiglio dei Ministri un decreto atteso dagli italiani di tutti i colori politici, quello sulle infrastrutture, fondamentale anche per la tenuta dei conti pubblici, sempre più a rischio per la recessione tecnica certificata da tutte le agenzie economiche internazionali.

Nell’aula del Senato il capogruppo dei Democratici, Andrea Marcucci, ha fornito il numero che legittima il malcontento della Lega. Sono 600, compresa la Strada a Scorrimento Veloce Lioni Grottaminarda, le opere pubbliche bloccate in Italia, altro che Tav Torino Lione, che il Ministro dice di voler tagliare a vantaggio di interventi fatti al Sud. La Lioni Grottaminarda è nel baricentro del Mezzogiorno, come Toninelli potrebbe farsi spiegare dal Ministro Luigi Di Maio di Pomigliano d’Arco, ma venuto al mondo ad Avellino, e dal Presidente della Camera Roberto Fico, napoletano. È un’opera prossima al completamento, schiantata dalla liquidazione anzitempo della sua stazione appaltante.

La Tav, non il Tav perchè si intende la linea del treno ad alta velocità, nulla c’entra con la realtà del Sud, è una questione ideologica.

Ad Avellino e in altri 599 luoghi sedi di opere bloccate si fanno i conti con le conseguenze di queste politiche non sostenibili da un Paese che non ce la fa più a fronteggiare il peso del rigore. In Campania, dove si è imposto dalla fine del 2007 il regime commissariale nel settore della Sanità, si sa bene che il rigore consiste nel non spendere ciò che si può e si deve spendere. Il Governo ha programmato un aumento di deficit per aumentare la spesa destinata a misure di assistenza, il Reddito di cittadinanza, mentre blocca la spesa pubblica per investimenti, finanziata dall’Europa per realizzare opere pubbliche. Come è accaduto in Campania fino al 2015, quando le Asl e le Aziende Ospedaliere programmavano i risparmi ignorando il fabbisogno reale di servizi, così oggi sulle infrastrutture si consegue un risparmio di risorse probabilmente nell’ottica di un autunno che si annuncua caldissimo per i conti pubblici, quando l’aumento programmato del deficit e il calo del Pil si incontreranno sul tavolo ministeriale delle Finanze.

Questo scenario divide la maggioranza di Governo. Ma non basteranno i segnali di Salvini a Luigi Di Maio per cambiare la realtà.  Anche sotto quota 161, il Ministro delle Infrastrutture per ora resta al suo posto con le sue politiche e le 600 opere pubbliche ferme nella polvere, mentre, intanto, ad Avellino gli ultimi operai della Lioni Grottaminarda ricevono le lettere di licenziamento.


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