La sala del Consiglio dei Ministri a Roma, all'interno di Palazzo Chigi

Il Federalismo differenziato approda questa sera all’esame del Consiglio dei Ministri. Sul tavolo l’intesa raggiunta dal Veneto con il Ministero di Economia e Finanza, quello che il Governatore Luca Zaia ha definito sul Corsera e sui giornali del Nord Est il “documento finale”.

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa di fine anno presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio a Roma

È un passo storico, il primo compiuto indietro per l’Unità nazionale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, osservano tutti i meridionalisti. Laddove non è riuscito ad arrivare Umberto Bossi negli anni ’90, fermato dall’alleato Silvio Berlusconi, giunge oggi il federalismo pasticciato all’italiana proposto dal rinato asse lombardo-veneto. Ma gli esecutori di questo passo indietro non sono solo i protagonisti politici del momento, Matteo Salvini per la Lega e la mente pentastellata Davide Casaleggio. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza una riforma costituzionale scritta malissimo nel 2001 dal Centrosinistra su input dei governi di Massimo D’Alema e Giuliano Amato, avallata da un referendum confermativo senza obbligo di quorum dove votarono in pochi, con una partecipazione ben al di sotto del 40 per cento (34,1). Se nel dicembre 2016 il Referendum confermativo per la Riforma di Maria Elena Boschi fosse passato, oggi il federalismo differenziato non potrebbe essere nemmeno ipotizzato. Non è un caso che Massimo D’Alema e i suoi più stretti collaboratori a cavallo tra il precedente e il nuovo millennio, abbiano contribuito ad affossare una riforma che rimetteva ordine nelle cosiddette materie concorrenti, restituendo allo Stato il primato sulle questioni fondamentali inerenti i diritti universali degli italiani.

Massimo D’Alema, già Presidente del Consiglio dei Ministri tra il 1999 e il 2000

Ironia della sorte, i referendum consultivi proposti in Lombardia e Veneto nel 2017 si sono risolti con una vittoria (in Veneto) e una bocciatura (in Lombardia), nonostante i quesiti generici, dimostrando che il passo indietro in corso non trova fondamento nella realtà sociale nemmeno al Nord.

Altro dato beffardo, il Consiglio dei Ministri nato sul cosiddetto Contratto di Governo per restituire sovranità all’Italia nel contesto europeo, mette all’ordine del giorno un documento che invece toglie prerogative al Governo perfino sul proprio territorio nazionale.

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L’intesa oggi all’esame, stando alle anticipazioni di stampa, prevede una compartecipazione del Veneto alle imposte con costi standard entro cinque anni. È quanto si apprende dalla nota congiunta diffusa da Massimo Garavaglia, vice ministro dell’Economia e Erika Stefani ministro agli Affari Regionali.

Il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca

Non stupisce la debolezza delle reazioni politiche. In Italia in queste ore si sente sostanzialmente solo la voce del Governatore della Campania, Vincenzo De Luca. C’è da chiedersi dove siano finiti i meridionalisti di tutte le forze politiche, ma segnatamente tra le forze che si professano sovraniste. Eppure nel suo discorso di fine anno, il Capo dello Stato che incarna l’Unità Nazionale di cui è garante, ha usato parole chiarissime nell’indicare il limite alla legittima aspirazione all’autonomia e al federalismo, la tenuta dell’Unità Nazionale, basata sulla solidarietà tra le regioni.

Ancora una volta la politica sembra volere abdicare alla propria funzione, lasciando alla Corte più alta, la Consulta, il compito di pronunciarsi su quanto sta accadendo.

“Faremo di tutto per bloccare il processo dell’autonomia differenziata se vengono meno le questioni di contenuto e metodo democratico”, ha dichiarato in una conferenza stampa Vincenzo De Luca. “Siamo pronti al ricorso alla Corte Costituzionale, alla mobilitazione sociale e alla lotta”, ha proseguito il presidente della Regione Campania, che ha evocato “lo spirito di un nuovo Risorgimento se vanno avanti spinte destinate a disgregare l’unità del Paese”. Non citandola, sullo sfondo dell’intervento di De Luca c’è la Catalogna, che in queste ore sta costando il posto di Premier al poco accorto socialista Pedro Sánchez Pérez-Castejón, caduto sulla legge di bilancio per aver aperto spiragli agli autonomisti, sconfitti non senza sacrifici altissimi per il popolo spagnolo.

“Non c’è consapevolezza della gravità delle questioni su cui si sta decidendo, il Paese è distratto dalle mille idiozie della politica politicante”, ha rincarato la dose De Luca, che ha apertamente dichiarato i rischi che sta correndo la tenuta dell’Unità nazionale. “Questo processo rischia di avere esiti disastrosi e intendiamo fare di tutto per bloccarlo se verranno meno le condizioni di metodo democratico”.

Il Governatore della Campania dice no alla imposizione da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, mentre il Popolo italiano fa da spettatore. E ha chiesto una operazione verità, perchè i cittadini apprendano la realtà “dei conti e del rapporto Nord-Sud sul tema delle risorse”.

Lo scontro istituzionale oggi, destinato a divenire costituzionale quando saranno prodotti gli atti, potrebbe proseguire per anni, se il Governo non cadrà. Certo, al contrario di quanto detto da alcuni suoi esponenti, non potrà durare altri cinque anni. Il primo volge ormai al termine, con la prima legge di bilancio già approvata.


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