Ciarcia: “L’Alto Calore non è in crisi”. L’inattesa frenata del presidente”

Con l'approssimarsi della riunione del tavolo istituzionale, prevista per la prossima settimana, che dovrà decidere la strategia di salvataggio dell'azienda idrica irpina e scongiurarne la privatizzazione, emergono elementi contraddittori sulla situazione finanzaria della società di Corso Europa.

Michelangelo Ciarcia, amministratore unico dell'Alto Calore Servizi spa, in audizione parlamentare sulla gestione idrica

«Non credo che l’Alto Calore sia in una condizione di crisi profonda»: ad affermarlo è il presidente dell’azienda idrica, Michelangelo Ciarcia, a margine dell’assemblea organizzata – questo pomeriggio a Palazzo Caracciolo – dai comitati per l’acqua pubblica, che preannunciano battaglia, in vista dell’appuntamento con il tavolo istituzionale, che si terrà nella prossima settimana.

E’ una dichiarazione a dir poco singolare e inattesa, quella del numero uno dell’azienda di Corso Europa. Fino a ieri, in ogni occasione Ciarcia, ha sottolineato la difficile situazione debitoria dell’Acs, prospettando l’ipotesi del fallimento, a fronte dei 140 milioni di debiti accumulati dalla società.

Questo è stato sinora l’argomento principale per chiedere ai soci un aumento di capitale in due tranche, una nel 2019, l’altra nel 2021, per un totale di 50 milioni di euro, il doppio dell’attuale capitale sociale. Ai Comuni è stato detto che non c’erano alternative, salvo se le quote azionarie non sottoscritte fossero state collocate sul mercato, consentendo l’ingresso a nuovi soci, compresi quelli privati.

Piero Ferrari, amministratore della Gesesa-Acea, gestore idrico a Benevento e in un distretto collegato

Un’azienda, sempre la stessa, la Gesesa, una partecipata dell’Acea, si è subito detta disponibile ad investire. Addirittura prima ancora che l’operazione fosse approvata dall’assemblea dei soci. Ed è sull’allarme lanciato da Ciarcia, in verità non nuovo e non senza presupposti concreti, che si è aperto, anzi riaperto il dibattito sulla difesa dell’acqua pubblica e sui rischi di una privatizzazione.

Tutte parole al vento, dunque, a cominciare da quelle di Ciarcia?  «Acs – ha precisato testualmente l’amministratore delegato dell’Acs – non soffre di crisi di liquidità. Disponiamo di un cash flow importante. Abbiamo, inoltre, da tempo e non solo di recente con l’iniziativa della società di recupero crediti, avviato un’azione di rientro delle morosità. Infine, il pensionamento anticipato di un consistente numero di dipendenti consente un alleggerimento dei costi per il personale. Eviterei, quindi, di parlare di crisi. Anche se all’orizzonte restano problemi che potrebbero portare ad un fallimento, oggi la situazione è in miglioramento».

La sede storica dell’Alto Calore spa, un tempo Consorzio Interprovinciale

Parole che sembrano aprire scenari diversi rispetto a quelli prospettati finora, anche se poi sibillinamente lasciano intendere, che il rischio di un’emergenza è dietro l’angolo. Parole che lette l’una appressa all’altra appaiono paradossali e illogiche.

E’ arrivato il momento che chi amministra l’azienda idrica pubblica di Irpinia e Sannio faccia chiarezza, dica esattamente le cose come stanno e non giochi di rimessa e di tattica.

Il Vicepresidente della Giunta regionale della Campania, Fulvio Bonavitacola, interviene al convegno promosso dal Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Avellino sul Servizio Idrico Integrato e sul futuro dell’Alto Calore

Che cosa andrà a dire al tavolo con Regione e Governo il presidente dell’Alto Calore? L’azienda ha bisogno o non necessita di un supporto per evitare di chiudere i battenti?

Questa ambiguità di fondo non aiuta e conferma il giudizio critico su una presunta strategia di salvataggio, che ha in più occasioni mostrato contraddizioni ed incertezze, proprio come chi la doveva rappresentare all’esterno.

C’è forse dietro qualcosa? E’ quello che abbiamo chiesto esplicitamente a Ciarcia: se, come apprendiamo oggi, l’Alto Calore non vive una condizione di crisi, finora si è fatto dell’allarmismo? A quale scopo? Forse, come dice qualcuno, ad esempio i comitati per l’acqua pubblica, allo scopo di indurre i Comuni a consumare scelte difficili da digerire? Per dirla con chiarezza: si intendeva aprire la porta ai privati, casomai persino ad una specifica azienda?

Palazzo Caracciolo, sede della Amministrazione Provinciale di Avellino

A questa domanda, il presidente dell’Alto Calore ha replicato seccamente: «Non c’è mai stato uno schema precostituito. D’altra parte, non ci sono maggioranze politiche in assemblea capaci di determinare un percorso preventivamente. Abbiamo solo rappresentato un problema dell’azienda: i 140 milioni di debiti».

In fin dei conti, Ciarcia lo dice, forse senza rendersene conto: in assemblea non c’erano i numeri per far passare la linea che una non maggioranza avrebbe voluto. Resta da capire, ma non è affatto difficile intenderlo, quale sia questa opzione che al momento non è praticabile. La privatizzazione?

A chi sta conducendo la partita, è necessario – è ciò che si può dedurre – recuperare tempo e definire l’accordo con la Regione per i 60 milioni di euro previsti per la ristrutturazione delle reti idriche di proprietà della stessa Regione, ma sinora pagate da Alto Calore e dagli utenti irpini. Poi si vedrà.

Ma è proprio dall’analisi dei conti che bisogna partire. I debiti consolidati da una parte e la gestione corrente dall’altra, che dicono molto del passato e del presente dell’Acs, ma anche che è possibile trovare soluzioni senza il timore che il collasso dell’azienda pubblica sia dietro l’angolo. Senza la spada di Damocle o il ricatto che induca i Comuni ad accettare condizioni di sfavore per la comunità

In ballo c’è molto: dalla tutela delle risorse idriche alla salvaguardia dell’ambiente e del territorio (che comunque sono una questione che riguarda i cittadini e tutte le istituzioni che li rappresentano), al futuro e alla gestione trasparente di una società di servizi pubblica.

Per affrontare questi nodi, però, servono risposte chiare.

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