La targa del Partito Democratico all'ingresso della sede nazionale

Nel Pd torna in gioco la segreteria provinciale, sostanzialmente bocciata alle urne nella città capoluogo. Per il Pd appare inevitabile  un nuovo congresso in Irpinia, mentre a Roma il manifesto di Carlo Calenda per un fronte repubblicano, la sfida da sinistra di Nicola Zingaretti e l’uscita di scena (in attesa della Leopolda d’autunno) di Matteo Renzi, si apprestano a chiudere la rovinosa reggenza di Maurizio Martina.

L’esito del voto in città rappresenta una responsabilità in primo luogo per chi guida il Pd irpino.

La rimonta clamorosa di un candidato outsider nei numeri, diventato sindaco grazie ad un astensionismo oltre le previsioni (hanno votato un avellinese su due), e un consenso al ballottaggio in voti assoluti inferiore a quanto raccolto dal suo avversario al primo turno, segnala la debolezza della linea tracciata da via Tagliamento, ma non solo. Rivela lo scarso peso politico nel partito e nella coalizione del segretario, dimostra la inadeguatezza del profilo dirigenziale uscito dal congresso.

Di fronte ad una sconfitta senza precedenti come questa, il segretario e l’intera compagine espressione dell’ultima contestata (e sub iudice) assise dovrebbero trarre le conseguenze, rimettendo il mandato al giudizio degli iscritti.

Frutto del voto di una esigua minoranza, il congresso si è rivelato un salto nel vuoto, schiantando il partito all’appuntamento più importante, quello delle elezioni comunali. La incapacità di guidare i processi ha prodotto un risultato unico in Italia, che consegnerà la città di Avellino alla instabilità, agli accordi tra singoli fuori da una cornice politica, alla confusione, nella fase più difficile per il Mezzogiorno e per il Paese.

Maggioranza in Consiglio ma con un sindaco espressione della minoranza, il Pd rischia di spaccarsi grazie alla formula delle liste civiche collegate, che potrebbero realizzare intese autonome, rigenerando lo scenario ambiguo che ha tenuto in scacco l’ex primo cittadino Paolo Foti negli ultimi cinque anni.

A partire dalla Presidente del Consiglio Regionale, Rosa D’Amelio, fino a tutti gli altri esponenti di punta riconosciuti dalla base, c’è attesa per un gesto di responsabilità.

Dopo due anni di commissariamento, preda per mesi di un braccio di ferro consumato a colpi di ricorsi e carta bollata, i Democratici hanno di fronte a sè la necessità di riaprirsi ai territori e alla società civile, selezionando un gruppo dirigente reso autorevole dal consenso tra gli iscritti.

Tra ventidue mesi a Palazzo Santa Lucia si rinnoveranno Consiglio e Governatore. Un margine esiguo per progettare un futuro che in questo momento, se queste condizioni permarranno, appare davvero compromesso.

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