Il giallo di Castano Irpino nelle pagine di Malacosa

Iolanda Dello Buono recensisce per Nuova Irpinia il romanzo giallo scritto a quattro mani da Luciano e Agostino Arciuolo, padre e figlio, recentemente ospiti dell'associazione femminile "La Ginestra" di Montella

Il giallo di Castano Irpino nelle pagine di Malacosa. Interesse e partecipazione sta destando la presentazione del romanzo ‘Malacosa’, di Agostino e Luciano Arciuolo, e delle vicende misteriose che accadono nell’immaginario (ma non troppo) paesino di Castano Irpino. Di seguito la recensione del volume, a cura di Iolanda Dello Buono.


Malacosa, tra giallo e mistero nella immaginaria Castano Irpino

A cura di Iolanda Dello Buono

Un caldo torrido ed inusuale, un clima pesante, asfissiante, “un clima d’Africa” già grava sulle tranquille esistenze degli abitanti di Castano Irpino, quando, al tramonto del giorno di Ferragosto, un vasto incendio, partito dalla Cupanera, distrugge la Montagnaccia, la montagna che sovrasta il paesino. Alla luce del mattino seguente le fiamme hanno lasciato posto ad alberi arsi, rami inceneriti, foglie carbonizzate e tanto fumo…. e un cadavere  “uno scheletro di ossa bruciate e brandelli di carne arrostita”, un cadavere senza nome, un cadavere senza identità e del quale nessuno reclama la scomparsa. “E’ la Malacosa” – dicono in paese, non può esserci altra spiegazione. Essa, si sa, può assumere sembianze assai diverse. Ne è certa Comma Senella che ha visto la Malacosa, lì in mezzo alle fiamme, nelle fattezze di una giovane fanciulla. Altri sono convinti che questa storia non può che essere il segno di un cattivo presagio, la minaccia di una catastrofe incombente, la certezza di una malasorte per questa nostra desolata terra d’Irpinia. Si apre, dunque, come un romanzo giallo, quello scritto a quattro mani da Agostino e Luciano Arciuolo. Del giallo possiede indubbiamente le peculiarità: il mistero, un cadavere non identificato, pochissimi indizi, qualche stentato alibi ed una verità da svelare. Le indagini spettano, suo malgrado, al personaggio principale del romanzo, l’ex ispettore forestale Michele De Paoli, uomo taciturno, segnato dalle proprie vicende personali e apparentemente rassegnato all’incedere  di una vita da pensionato cadenzata da amari, slot-machine e Lucky Strike. Tuttavia, apporre l’etichetta di romanzo giallo a questa coinvolgente storia non è corretto e non è affatto esaustivo. “Malacosa” è un testo molto articolato, una storia che reca con sé tante tematiche e dall’intreccio volutamente complesso, che segue sì le caratteristiche del genere, ma che offre ai noi lettori tanti spunti di riflessione. Dunque, “Malacosa” è in secondo luogo anche un dipinto, un tratteggio, a toni a volte più aspri a volte più delicati, della nostra realtà irpina, uno spaccato di vita attualissimo. Gli autori hanno saputo inserirvi con infinita sapienza tutti quei topos, non solo letterari, che svolgono per noi irpini una funzione identitaria. Luoghi e situazioni che conosciamo bene, che ci rassicurano e ci inquietano allo stesso tempo: il bar di paese, la piazza, i castagneti infestati dal cinipide galligeno, lo spopolamento crescente delle nostre aree. Dell’Irpinia, padre e figlio Arciuolo hanno saputo descrivere anche quell’atmosfera d’immobilità, d’immutabilità, di fissità fuori dal tempo, così la descrivono “del resto, il ceppo da dove è venuto il sarmento del suo esistere è quello di gente che dal più remoto scorrere dei tempi non fa che lasciarsi succedere le cose addosso. Un’inerzia cronica, atavica, torreggia sui monti e sulle vallate d’ Irpinia, sulle groppe e nel cuore degli uomini che da secoli ci vivono. Un’inerzia congenita e contagiosa pure, ammischiatasi pure a quelli che sono arrivati dopo e che hanno finito per insertare il loro seme a un altro già spurio di suo, per via che dall’alba dei millenni, e da ogni parte di mondo, sono venuti fin qua per cercare fortuna e non trovarne che frecole sparse, quando non mica in tutto.”

Malacosa, un momento della presentazione ad Avellino

“Malacosa” è anche una nuova lingua, più incisiva, più efficace, più evocativa. Il romanzo, infatti, non è scritto né in italiano, né in dialetto, ma in un idioma comune che pesca nel nostro entroterra culturale, che ricalca la struttura sintattica del dialetto, ne prende qualche vocabolo, qualche proverbio, qualche modo di dire ma mantiene la comprensibilità dell’italiano; una lingua impastata – come suggerisce la quarta di copertina- che ben si presta dunque ad essere letta anche a livello nazionale. In tal senso, il riferimento al maestro Camilleri è chiaro ed esplicitato da uno dei personaggi del romanzo, l’appuntato D’Aniello, che nei propri verbali scritti in un italiano desueto ed improponibile omaggia fonti autorevoli come Carlo Emilio Gadda e Leonardo Sciascia, fungendo così da voce interna degli autori nel romanzo stesso. Tra le pagine del romanzo si può scorgere uno dei principi fondanti di tutta la storia, che sta, a mio avviso, in un dualismo dialettico tra le parti, in una relazione di complementarietà od opposizione tra gli elementi del romanzo. E’ così per i due personaggi principali l’ex ispettore De Paoli e la studentessa attivista no-Triv Gaia Lonigro, tanto diversi per età, appartengono infatti a generazioni diverse; per aspirazioni, Michele ormai sembra non averne più d’aspirazioni mentre Gaia ha dentro una forza che non si arresta. Due personalità opposte, che sembrano lontane ma che poi diventano complementari nella salvaguardia del territorio. E’ opposizione dura anche tra gli interessi di una politica affarista che non guarda in faccia a nessuno e i ragazzi del comitato No triv che si impegnano nella tutela ambientale, lottando per resistere allo sfruttamento del territorio e per restare.


Malacosa, locandina promozionale del romanzo, in occasione della presentazione ad Avellino

A guardare meglio questo dualismo, questa contrapposizione, queste complementarietà/opposizioni non sono altro che fili della stessa intricata matassa, uno gliommero, ‘no ngaravuglio re fila che altro non è che l’esistenza umana. “Malacosa” è dunque anche una metafora sulla vita, sul significato degli eventi, delle cose che ci accadono. Spesso non riusciamo a comprenderle del tutto; allora ci sforziamo di giustificarne il senso affidandoci ad entità magiche, soprannaturali alle quali ci rassegniamo non potendo modificarne il disegno, “la Malacosa” appunto, che possiamo solo allontanare recitando i versi tramandati dalla tradizione e aspettare che passi; oppure possiamo cercare di sbrogliarla questa matassa, intestardirci ad andare fino in fondo, a voler capire, a trovare un senso ed agire – come fanno Gaia e i ragazzi del Comitato no Triv- ma non bisogna dimenticare il fatto che “tra le pieghe del mondo, alla fine, rimane sempre un che di inspiegabile, un lembo che scappa, una zénzela..”.


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