Gerardo Bianco: la cultura italiana si ribelli alla politica della falsificazione

L'ex parlamentare analizza criticamente l'attuale scenario politico, sottolineando i limiti delle forze di governo e dell'esecutivo nazionale. Il ruolo dei cattolici democratici per l'avvio di una nuova stagione di impegno.

Gerardo Bianco

«Occorre una ribellione della cultura italiana contro la falsificazione della realtà messa in atto dalla politica dei social». Ad affermarlo è Gerardo Bianco, docente universitario in pensione, già deputato e segretario nazionale del Ppi.

Onorevole, qual è la sua valutazione dell’attuale fase politica?

«E’ un passaggio di grande confusione, caratterizzato da una profonda involuzione sociale e politica. Il governo Cinque Stelle-Lega anche alla prova dei fatti si è dimostrato inadeguato ed inaffidabile. Come era prevedibile, non è stato in grado di mantenere le promosse della campagna elettorale, frutto della propaganda più che di una strategia. Senza contare la delegittimazione del Paese di fronte ai consessi internazionali ed europei. Cresce anche la preoccupazione nel mondo imprenditoriale e del lavoro. Ma c’è dell’altro».

Dica pure…

«Trovo sempre più preoccupanti i messaggi e le prese di posizione dei dirigenti politici delle forze di governo e degli stessi rappresentanti dell’esecutivo, tesi più ad alimentare i conflitti e ad escludere, che non a creare un sentimento di coesione nel Paese, in una fase delicata quale è quella attuale. Valori come la solidarietà ed il dialogo sembrano completamente cancellati».

Che prospettive intravede per il futuro?

«Confido nell’intelligenza del popolo italiano. Fino ad oggi molti elettori si sono fatti incantare dalle promesse, dagli slogan e soprattutto i più giovani dalla comunicazione veicolata dai nuovi o apparentemente nuovi movimenti di protesta e dall’antipolitica in generale. Ma, ormai, penso sia chiaro a tutti, che siamo sommersi da notizie false, dalla politica virtuale, dall’impreparazione di chi dovrebbe dare risposte, ma non riesce ad andare oltre la sprezzante invettiva contro gli avversari e contro una politica definita vecchia. E’ tempo, dunque, che la ragione, il confronto e l’approfondimento recuperino il loro spazio e ruolo. Insieme alla democrazia della rappresentanza, con le sue regole e i suoi principi».

C’è una strategia che ritiene possa essere vincente?

«Non ho un’idea precisa di quali formule politiche o di quali schieramenti possano raccogliere oggi il consenso della maggioranza dei cittadini e contrastare la tendenza distruttiva dell’antipolitica. Probabilmente bisognerà percorrere strade nuove. Anche se la coerenza e la linearità dei percorsi restano per me un valore».

I cattolici democratici possono ancora svolgere un ruolo nello scenario politico italiano?

«Sono convinto di sì. Sono una forza viva nella società e possono tornare ad essere un riferimento nella politica. Personalmente sono stato contrario allo scioglimento del Partito Popolare, che raccoglieva e proseguiva un filone culturale fondamentale per la storia democratica del nostro Paese».

Con Rotondi condivide l’impegno nella Fondazione Sullo. C’è la possibilità che possiate dare vita, eventualmente con altri interlocutori, ad un nuovo progetto politico?

«A Rotondi mi lega una profonda amicizia, ma ho una visione politica differente dalla sua. Negli ultimi tempi, comunque, ha elaborato una linea interessante, che lo ha portato ad assumere una distanza rispetto al berlusconismo e ad una certa visione del centrodestra».

 

 

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