Sant’Angelo dei Lombardi, un Natale al Bar Corrado

Ci sono luoghi che rappresentano punti focali nel tempo e nello spazio. Prima del terremoto di 38 anni fa questa premiata pasticceria nel cuore dell'Alta Irpinia scandiva le stagioni di famiglie e comunità. Era il punto di incontro cge identificava un intero territorio tra l'Ofanto e il Calore...

“Quando l’attività fu trasferita nei locali di Palazzo Japicca, le nuove generazioni erano ormai cresciute e partecipavano di buon grado al funzionamento dell’attività. Tutti lavoravano con mansioni specifiche e senza concedersi insubordinazioni. Il Natale nel Bar aveva inizio già a fine novembre, con i viaggi in Puglia per l’acquisto delle mandorle che sarebbero servite per la pasticceria natalizia, mentre si estraevano dal magazzino le scorte di canditi preparate durante l’inverno precedente. L’8 dicembre si inaugurava ufficialmente il Natale e le festività duravano fino al giorno dell’Epifania, come da tradizione.

Nel banco della pasticceria si potevano ammirare i mostacciuoli, sia semplici che ripieni, la pasta di mandorle, i roccocò, i divinamore, la pasta reale, la frutta decorata a mano. “Gli zii portavano il pesce da Napoli e si preparava la frittura per trenta persone”. Tutta la produzione poteva godere di un marchio di grande qualità e prestigio. I vassoi della pasticceria raggiungevano molte città italiane, assecondando le ordinazioni di santangiolesi emigrati al nord, e in ogni parte d’Italia. Non mancarono infatti, in quegli anni, le richieste di forniture della pasticceria da altri paesi, proposte puntualmente evase dai fratelli Corrado che, negli anni ’70, avevano raggiunto l’apice del successo nel campo della pasticceria artigianale.

Il bar Corrado era un punto di riferimento indiscusso per tanti visitatori esterni che raggiungevano Sant’Angelo soltanto per assaporare le loro prelibatezze. A Natale si impastavano quintali e quintali di mandorle. Il procedimento laborioso per eccellenza era quello per preparare i divinamore: pasta di mandorle amalgamate con uova, scorzette d’arancia, cedro e un cucchiaino di farina. Si preparavano le forme per i biscotti e si metteva a cuocere in forno. A parte, si preparava l’amarena calda, da spennellare sui biscotti; e infine si procedeva con lo zucchero nasprato.

La copertina del libro “Bar Corrado”

“Questo procedimento non ce l’aveva insegnato Arturo, il pasticciere di Caflish, ma fu un’idea di mammà, che ricordava che questa ricetta le era stata consegnata da un suo amico pasticciere di Napoli” spiega Maria Rosaria. In quel periodo la cucina del Bar era accessibile a tutti: erano in tanti a oltrepassare le porte che separavano il bar dalla cucina e ad accomodarsi a tavola con la famiglia. “Nel periodo di Natale gli uomini erano addetti alla sangria e i festeggiamenti iniziavano alle cinque di pomeriggio della vigilia di Natale, quando chiudevamo la saracinesca del bar”.

I dolci erano i protagonisti indiscussi della tavola imbandita dai Corrado, che gustavano tutte le specialità delle festività, soprattutto al tavolo da gioco. “Noi ragazzi facevamo la processione con i dolci, e zio Natale sparava i fuochi” ricordano i nipoti. “Da piccoli ci divertivamo a costruire il presepe con la creta, e ognuno di noi era intento a dare forma a pastori o ad altri accessori per il presepe. Dopo aver raccolto il muschio, la cucina diventava molto umida, ma noi, senza arrenderci, costruivamo il presepe. Accanto alla cucina c’era il bagno, arredato con una finestrella ovale che d’inverno aveva sempre il vetro opaco dal freddo.

Micheluzzo aveva modellato pure un carrettino, con il cesto dietro porta oggetti, ma appena zio Natale si accorse che eravamo intenti nella sua costruzione, decise di ingegnare uno dei suoi stratagemmi per fare baldoria. Di nascosto afferrò uno ad uno dei pomodorini secchi appesi a una trave per le conserve, e iniziò a bombardare il carrettino di Micheluzzo. Una vera dichiarazione di guerra, che in brevissimo tempo coinvolse tutti, fino al lancio dei pastori di creta. Nei botta e risposta con i frammenti del presepe, uno dei pastori colpì la vetrata della finestra del bagno, frantumando tutti i vetri e scatenando l’ira di zio Mario che diede una lezione indimenticabile a tutti”.

Alla vigilia dell’Epifania, Natale era il componente della famiglia più indaffarato in assoluto: non andava a dormire per avere il tempo di preparare le sorprese a tutti i nipoti. Il rito della festività prevedeva numerosissimi brindisi con i ragazzi (i nipoti maschi) con le motivazioni più disparate e, spesso banali.  “Un brindisi per Amata che ancora non è andata a dormire” e alzavano i calici. Bevevano qualunque cosa Natale avesse a tiro: lo scopo era testare la resistenza all’alcool dei ragazzi e beffeggiarli l’indomani mattina. Un gioco che Mario trovava intollerabile, ma che vedeva d’accordo tutti i nipoti. “Don Gabriele Criscuoli arrivava di buon ora il giorno dell’Epifania, solo per sapere cosa si era inventato stavolta Natale”.

Quando tutti i nipoti erano stati volontariamente stremati, Natale si ingegnava a preparare la calza con sorprese. Prendeva uno ad uno le calze e i pantaloni, per riempirli in tutta la capienza e fino all’orlo con ogni genere di frutta e verdura, in particolare patate e agli, che avrebbero nascosto in realtà il vero regalino. Il problema però era cercarlo, in quanto sarebbero stati costretti a svuotare per intero gli indumenti, e a creare nuovamente baldoria. Poi il lavoro ricominciava, così come si riprendevano le postazioni della catena di montaggio. La sera, quando il bar si chiudeva al pubblico, la famiglia si concedeva gli spazi per giocare, per godere della compagnia di qualche ospite e di grandi chiacchierate. “Zezzella mandava Luigi a chiamarci per la cena, e noi gli dicevamo: Luì devi dire che non ci siamo! Lui tornava in cucina e diceva a Zezzella: signò, le signorine ‘enne ritto che nun ‘ge so! E così zio Mario si arrabbiava e ci rimproverava”, raccontano Chiara e Michele.

Oltre Luigi, che prestava servizio al bar o al deposito a seconda dell’occorrenza, Gennaro Mezzaucella era la mascotte dei Corrado. Portava una bandana sul capo, e subiva volentieri tutti gli scherzi dei ragazzi. “Gennà oggi mangi con noi- gli dicevano Mimì e Michele- e lui rispondeva: no, eggia ‘j addù mogliema!” e, a causa della risposta sbagliata, Gennaro veniva appeso alla balconata del campo sportivo a testa in giù, fino a quando non avesse ceduto alla richiesta. Il divertimento delle nuove leve della famiglia, erano soprattutto i veglioni e i Mak P, in quanto frequentavano le scuole superiori e assaporavano con gusto il clima dei grandi cambiamenti sociali e politici. Le feste di fine anno delle quinte superiori erano affollatissime: arrivavano i nomi più famosi del panorama musicale in voga e la festa rappresentava un evento degno di nota. “Abbiamo ospitato Peppino Gagliardi, gli Alunni del Sole, Nunzio Gallo, Gloria Christian, Luciano Rondinella e tanti altri. Quest’ultimo lasciò un affettuosissimo ricordo a Donna Raffaella:  in un momento di pausa, guardandola negli occhi, prese ad intonare “Mamma, solo per te la mia canzone”.

“La tradizione natalizia” tratto dal libro “Bar Corrado. Una vetrina del ‘900 santangiolese” edito da Delta 3 Edizioni (2013).

 

 

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