Il pesce azzurro riduce il rischio di malattie cardiovascolari. Studio della Federico II

Da Napoli lo studio dell’equipe della Diabetologia della Federico II pubblicato su “Advances in Nutrition”: «Importante l’impatto che la ricerca avrà sulle scelte alimentari della popolazione adulta e sull’ecosistema marino»

Il pesce azzurro riduce il rischio di malattie cardiovascolari. Il dato emerge dallo studio realizzato dall’equipe della Diabetologia della Federico II appena pubblicato su “Advances in Nutrition”.

Università degli Studi Federico II di Napoli

LA RICERCA. Chi di noi, rivolgendosi ad un esperto, non ha ricevuto l’indicazione di consumare pesce almeno tre volte a settimana? Ebbene, da oggi qualcosa potrebbe cambiare. Se, infatti, numerosi studi hanno dimostrato che il consumo di pesce si associa alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari ischemiche, come l’infarto del miocardio, sino ad ora nessuno aveva chiarito se i tipi di pesce fossero intercambiabili o se fosse meglio preferire le alici alla spigola, le sardine ai gamberi, in sintesi se fosse meglio il pesce azzurro, anche detto pesce grasso o il pesce bianco, noto come pesce magro.
La risposta è arrivata dallo studio dell’equipe della Diabetologia del Policlinico Federico II, guidata dalla professoressa Olga Vaccaro, che ha analizzato tutti i dati disponibili in letteratura sulla relazione tra il consumo di pesce e le malattie cardiovascolari.

NUTRIRSI DI PESCE GRASSO RIDUCE IL RISCHIO DI PATOLOGIE CARDIACHE ANCHE FATALI. «Utilizzando una metodologia basata sulla sistematicità della ricerca, grazie a procedure statistiche in grado di combinare tutti i dati disponibili, abbiamo analizzato una popolazione di 1.320.509 individui, seguiti per un periodo di tempo che va dai 4 ai 40 anni. I risultati hanno mostrato, con estrema chiarezza, che il consumo di 1-2 porzioni di pesce grasso a settimana si associa ad una riduzione significativa del rischio di infarto e di altre patologie cardiache che, per i casi fatali, si colloca intorno al 17%. Al contrario, il consumo abituale di pesce magro, pur non aumentando il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, non si associa a questi benefici», spiega la professoressa Vaccaro.

MEGLIO LE SARDINE DEL MERLUZZO. Vale a dire che il consumo di pesce grasso, come sardine, sgombri ed altri pesci azzurri, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità precoce, mentre il pesce magro, come merluzzo, spigola, crostacei, molluschi, non ha lo stesso potenziale. I dati, quindi, affermano che il pesce azzurro riduce il rischio di malattie cardiovascolari. «I risultati di questo studio mettono in luce, per la prima volta, che l’effetto benefico sulla salute cardiovascolare attribuito finora al consumo di pesce in generale è in realtà limitato esclusivamente al pesce grasso. Questo ha una sua logica: il pesce grasso contiene, infatti, quantità fino a 10 volte più elevate di grassi cosiddetti omega-3, benefici per la salute, rispetto al pesce magro, inoltre, il pesce grasso è più ricco di molte altre sostanze salutari come calcio, potassio, ferro e Vitamina D, che possono contribuire all’impatto benefico del pesce azzurro sul cuore», sottolinea il professore Gabriele Riccardi, già direttore della Diabetologia Federiciana.

I RIFLESSI SULL’ECOSISTEMA MARINO DELLO STUDIO. Le conclusioni dello studio avranno implicazioni rilevanti per le scelte alimentari della popolazione adulta e per la preservazione dell’ecosistema marino. «La consapevolezza che bastano una o due porzioni di pesce azzurro a settimana per ridurre marcatamente il rischio di malattie cardiache facilita l’adesione alle raccomandazioni nutrizionali in confronto al generico consiglio di consumare ogni tipo di prodotto della pesca con una frequenza maggiore. Guardando agli aspetti ambientali, la scelta preferenziale di pesce azzurro di piccola taglia, e con un breve ciclo di vita come alici, sardine, sgombri, aringhe e molti altri pesci meno noti ma molto diffusi nel mar Mediterraneo, ha un impatto rilevante sull’ecosistema marino ed è molto più sostenibile dell’utilizzo di specie, ritenute più pregiate, che arrivano sulla nostra tavola grazie all’acquacultura o alla pesca intensiva», conclude la professoressa Vaccaro.

IL TEAM. All’innovativo studio, insieme ai professori Vaccaro e Riccardi, hanno preso parte le nutrizioniste Marilena Vitale e Ilaria Calabrese, la dottoranda di ricerca in “Nutraceuticals Functional Foods and Human Health” Annalisa Giosuè e la diabetologa Roberta Lupoli.


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