Tre irpini “Architetti per il futuro” nell’Italia post-covid. Hanno partecipato alla maratona nazionale “Architetti per il futuro” il presidente dell’Ordine degli Architetti di Avellino Erminio Petecca, insieme agli architetti Enzo Tenore e Luca Battista offrendo il contributo irpino alla maratona di 24 ore indetta dall’ordine nazionale.
L’obiettivo dell’iniziativa era scrivere un manifesto italiano in 10 punti per superare la crisi economica e sociale causata dall’epidemia del Coronavirus. Sul finire dell’emergenza sanitaria, i professionisti hanno contribuito con i loro interventi a dare voce alle Aree Interne della Campania. Lo scenario con cui misurarsi oggi è la fuga dalle città verso i piccoli borghi, alla ricerca di ambienti incontaminati e salubri. Gli architetti italiani hanno provato a rispondere ad alcune domande chiave in questa fase di ripresa dopo la pandemia. Per esempio come gestire l’abitare, gli spazi pubblici, come ridisegnare le dinamiche urbane. Quale modalità potrà far ripartire l’economia, come dovranno evolvere gli spazi pubblici. Insomma, in che modo la pandemia cambierà il rapporto tra individuo e ambiente sociale, urbano, rurale.
TRE IRPINI “ARCHITETTI PER IL FUTURO”. “L’Italia per ripartire ha bisogno di architettura e gli architetti sono gli agenti del cambiamento” recita lo slogan dell’ordine nazionale. Dal 23 al 24 maggio, senza interruzioni, gli architetti hanno lanciato un percorso partecipativo e di dialogo su come gestire nel post Covid i luoghi dell’abitare, gli spazi pubblici e le dinamiche urbane. “Non si può far passare la notizia sulle pagine dei giornali che la proposta degli architetti italiani per il dopo Coronavirus è quella di abbandonare le città per ritirarsi sulle colline dell’Appennino, abbandonare il consumismo, dopo averne consumato tutto il consumabile, per ritornare ad una realtà più sostenibile come quella rurale e delle aree interne” sottolinea Petecca al meeting nazionale. “Ci sono luoghi del nostro paese che non hanno conosciuto fino in fondo lo sviluppo industriale ed il benessere diffuso, se non solo marginalmente. Così come ci sono architetti costretti a confrontarsi quotidianamente con queste realtà, realtà fatte di incomprensioni con la burocrazia locale dei Comuni, delle Soprintendenze, del Genio Civile e altri. Ecco che ritorna indispensabile per gli architetti recuperare prima quel ruolo e quella funzione di parte attiva e fondamentale della strategia di crescita economica e politica sui territori e poi implementare le competenze tecniche per migliorare il livello della nostra qualità professionale, condizione necessaria per affrontare il ‘rilancio’ del Paese” indica il presidente Petecca.
Sottolinea la necessità di un adeguamento normativo l’architetto Luca Battista. “E’ il momento di articolare e di farsi carico di una rivoluzione rispetto all’intero apparato normativo che regola la trasformazione e le tutele e le salvaguardie delle città ma più in particolare del territorio. Non è più rinviabile una nuova legge urbanistica nazionale che superi quella datata 1942. Una legge urbanistica nazionale che consenta di lavorare per piani di Visione, che “disegnino” le proiezioni schematiche di ciò che dovrà essere: piani calibrati sulle esigenze reali ma soprattutto sui sogni e sulle “utopie” di una comunità, le uniche cose che consentono di praticare la “bellezza” spiega. “Piani strutturali, invarianti per contesti territoriali, che si fondano non più su limiti amministrativi comunali e nemmeno provinciali, ma su aree intermedie caratterizzate da omogeneità territoriali ed infrastrutturali; lavorando su reti di città e borghi policentrici con un numero di popolazione residente o fruente utile ad un conveniente dimensionamento delle dotazioni collettive e della mobilità pubblica, ma anche quelle commerciali e produttive”. Battista auspica “Una legge urbanistica nazionale che imponga la definizione di un limite, una linea rossa, una cintura verde a garanzia dei valori che ci assicurano i servizi ecosistemici. Che introduca l’obbligo “compensativo” di ogni trasformazione per avviare in ogni sistema di città l’unica essenziale nuova infrastruttura: quella verde. Quella dei corridoi ecologici urbani che si riconnettono alle Reti ecologiche territoriali”. Il contributo offerto dall’architetto Enzo Tenore invece ha riguardato la possibilità di introdurre la didattica universitaria nelle aree interne, con l’adeguamento degli standard urbani a quelli montani. “Non si può immaginare lo sviluppo delle città senza considerare le aree interne, che rappresentano la spina dorsale del Paese” ha spiegato Tenore. “Il tema delle aree interne ha suscitato l’interesse dell’Ordine nazionale e di Mario Cucinella, che ha portato la questione alla Biennale di Venezia. Dovremmo pertanto associare le configurazioni delle nuove città post Covid a quelle delle aree interne. in un rapporto speculare e non alternativo. Mentre nelle città l’emergenza sanitaria ha reso necessario il distanziamento, le aree interne cercano la concentrazione: di qui la necessità di distribuire i servizi e garantire i servizi anche nell’Appennino” conclude.
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