“Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez

“Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Misteri, avventure e particolari che hanno dell’incredibile, si snodano attraverso la storia di sette generazioni della famiglia Buendìa, il cui capostipite Josè Arcadio Buendìa decide di fuggire dal proprio paese per fondarne un altro, Macondo e da lì si sviluppano vicende personali che si intrecciano tra loro, sospese in un destino ineluttabile. La curiosità, il desiderio di conoscere nuove cose, di sperimentare, come il giorno in cui il figlio piccolo è venuto a contatto con l’invenzione del ghiaccio o i tentativi di scoprire elementi nuovi nel laboratorio di alchimia sono tutti appannaggio dei vari membri della famiglia. Personaggio di spicco che sembra stimolare interessi nuovi e resterà sempre come memoria e fondamento del desiderio di migliorare e di varcare nuovi confini, è lo zingaro Melquiades, che appare all’inizio come un essere prodigioso, che narrava racconti fantastici che sbalordivano i bambini. Sorprendente era il concerto di tanti uccelli diversi che animava la casa dei Buendia, una tradizione che continuerà per anni e che circonderà di un’atmosfera strana i pomeriggi assolati in cui i bambini si riunivano per imparare a leggere e fare di conto. Nel corso degli anni la famiglia si arricchirà sempre di nuove presenze, cugini tra loro o bambini arrivati fin lì attraverso parentele strane o frutto di amori illegittimi, ma essi costituivano nonostante tutto, qualcosa di stabile, nonostante la fluidità dei rapporti.

Ogni personaggio porta con sé i propri ricordi, le proprie difficoltà o le proprie abitudini, anche quelle più strane, come Rebeca, giunta da lontano, che reca con sé il suo passato, rappresentato dal sacco in cui sono conservate le ossa dei suoi genitori e per la frustrazione e il senso di estraneità che provava, mangiava la terra e i calcinacci o Remedios che aveva imparato a suonare la pianola e esprimeva, attraverso quel suono, l’immagine che saturava la sua terribile solitudine; chiunque ella incrociasse sul proprio cammino, era quasi posseduto da una strana malia, ella non “esalava un alito di amore, ma un fluido di morte” e la sua immagine, fissata per sempre su un dagherrotipo,  resterà sempre nel ricordo di tutti e aleggerà nelle stanze della casa in cui si succederanno persone, storie, gioie e dolori.

L’avvenenza leggendaria di alcune donne, la loro “allegrezza di vivere”, nonostante le difficoltà, le rendono particolari nelle loro abitudini quasi maniacali, come la familiarità di Amaranta con i riti della morte, fino a tessere il suo stesso sudario o le sue lettere indirizzate e mai spedite a Pietro Crespi, che per anni l’aveva amata e lei aveva sempre rifiutato, il rancore e la gelosia che aveva sempre provato nei confronti di  Rebeca o le “visite immaginarie” con persone morte da tempo e i colloqui con medici invisibili di Fernanda, che accettava il proprio destino e la condizione di subalterna.

Le vere protagoniste di questa saga familiare sono in realtà le donne, a partire da Ursula, la cui esistenza, sin da quando era una ragazza, era stata funestata dai sinistri pronostici e superstizioni di sua madre, donne forti che comandano e sono intraprendenti, sempre disposte a prendere in carico il benessere della propria famiglia che difendono fino all’inverosimile. Sorprendente e in alcuni casi commovente è la loro disponibilità a prendersi cura di tutti, soprattutto dei bambini, che accolgono e allevano come figli anche se non lo sono o sono addirittura illegittimi. Esse sono dotate di forza e determinazione, vanno avanti per la loro strada, non abbassandosi di fronte a niente e a nessuno, non arrendendosi mai, combattendo per orgoglio.  Si rifiutano di invecchiare, perché hanno il compito di tenere unita la famiglia, ad ogni costo.

I personaggi maschili vivono in una perenne incertezza e insoddisfazione. Il colonnello Aureliano Buendìa è sempre in prima linea per combattere, tuttavia viveva in una perenne incertezza e insoddisfazione e l’ebbrezza del potere che l’aveva accompagnato per tanti anni, si trasformava a poco a poco in “raffiche di disagio” che sferzavano la sua anima. Si sentiva spento e le sue innumerevoli donne non avevano lasciato traccia nei suoi sentimenti: i suoi nove figli hanno lo stesso suo nome, ma il cognome delle loro madri e il loro segno di riconoscimento è una croce di cenere sulla fronte. Spesso il passato si riempiva di immagini, anche crude, di persone morte, divenute fantasmi come Prudencio Aguilar, che funesta i pensieri, resi terribili a causa del rimorso di Josè Arcadio Buendìa che perderà poi la ragione e finirà i suoi giorni, legato a un castagno, ma rimarrà sempre una presenza fondamentale e un ricordo indelebile nella sua famiglia.

Attraverso le vicende della famiglia Buendìa e dei vari personaggi si assiste all’immenso fallimento dei propri sogni, al desiderio smodato di una prosperità delirante, concependo progetti spropositati o affidandosi ad attività particolari, come il commercio dei pesciolini d’oro, che si manteneva intatto attraverso le generazioni e che rappresentava il desiderio di qualcosa di stabile, come le reliquie di famiglia.

La casa dei Buendìa era sempre piena di amore, c’era sempre un filo che legava tutti: Ursula, che durante tutta la sua lunghissima vita, più di cento anni, era sempre stata gelosa del proprio ruolo e voleva mantenere una sorta di armonia familiare, anche durante gli anni di abbandono della casa da parte di figli e nipoti, era pervasa da una rabbia cieca. L’aveva sempre considerata una ”casa di pazzi”che sembravano essere sopravvissuti a un naufragio, alle alterne vicende che erano soggette al “fato solitario della famiglia” e ognuno si esprimeva attraverso cambiamenti d’umore ed eterne contraddizioni, ma la strana ripetizione dei nomi sembrava condurre a un insolito e simile destino: “era come se il mondo continuasse a girare in tondo” in un vortice senza sosta. Nonostante la sua età avanzata, Ursula si era sentita sempre il perno attorno a cui le varie generazioni dei Buendìa vivevano la loro esistenza, in un girovagare angoscioso, senza nessun istante di requie, mentre lo spirito del suo cuore invincibile la orientava nelle tenebre della sua cecità, che non le impediva tuttavia di agire.

A cura di Ilde Rampino

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