«Fare tamponi a tappeto ad Ariano», appello di Melito e Grasso

L'ANALISI dell'ex capogruppo consiliare Pd e dell'ex sindaco sulla situazione dell'epidemia in città, dove negli ultimi quattro giorni ci sono stati altri 9 casi positivi. Gli interventi

«Fare tamponi a tappeto ad Ariano» per accertare la reale dimensione del contagio nella città del Tricolle. Lo richiedono in due interventi diffusi nel pomeriggio Carmine Grasso e , appello di Melito e Grasso e Vittorio Melito, rispettivamente il medico l’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale e l’ex sindaco.

Ariano Irpino

«FARE TAMPONI A TAPPETO AD ARIANO», MELITO: IL VERO CLUSTER SEMBRA L’OSPEDALE. «Qualcuno mi chiede di ‘dare i numeri’, di nuovo, ma c’è poco da aggiungere. 9 casi sui 10 dell’intera provincia negli ultimi quattro giorni si commentano da soli. Come curiosità, vale forse la pena di sottolineare che ieri sono stati 4 su 32 nell’intera Regione (il 25%), come se ad Ariano ci fossero 1.450.000 abitanti circa, cioè più dei cinque capoluoghi di provincia messi insieme)», scrive Vittorio Melito in un suo intervento. «È evidente che la crisi non è superata e che la nostra Città continua a pagare un prezzo esageratamente alto». Vittoro Melito sostiene «che i controlli con tamponi non sono stati fatti nemmeno alla maggior parte dei contatti stretti dei positivi e che questa infinita coda di nuovi contagi lo dimostra».  Inoltre, sottolinea che «da due giorni si parla di casi secondari, derivati da primari già accertati», ma si dice perplesso: «Finora erano stati tutti primari? Nessuno aveva mai contagiato propri stretti contatti?». In definitiva, citando il responsabile del dipartimento di prevenzione, quando «ha dichiarato che il virus circolava già a fine febbraio e che ad Ariano sono stati individuati quattro cluster (raggruppamenti di elementi omogenei, secondo il dizionario; in pratica luoghi dai quali sono scaturiti più contagi con la stessa origine)», Melito ritiene di poter affermare senza essere smentito che «il più numeroso è stato l’ospedale, seguito dal centro Minerva e dalle famose (per me un po’ fantomatiche) feste». Pertanto, «insisto a dire che l’unico modo per verificare la situazione reale è l’esecuzione di tamponi a tappeto: al centro Minerva è stato fatto, all’ospedale no. Da quelle premesse consegue che, non solo nell’immediato ma anche adesso, si continua a correre dietro all’infezione, senza prevederne i percorsi di diffusione per meglio contenerla».

Carmine Grasso, medico chirurgo

«FARE TAMPONI A TAPPETO AD ARIANO», GRASSO: SBAGLIATA LA LINEA SEGUITA FINORA. Per Carmine Grasso ci sono stanti positivi ad Ariano perché, a suo dire, la linea seguita non era quella corretta. «Si è volontariamente voluto sostenere sempre la stessa linea, anche se sbagliata! Nonostante siano passati due mesi dai contagi iniziali e nonostante, gran parte dei pazienti, superata la ‘selezione naturale’ dopo essersi ammalati, si siano negativizzati, non si è fatto nulla per tracciare il contagio», scrive in una nota. «Il territorio è stato lasciato nel più completo abbandono. Non curare i paucisintomatici a casa e non scovare gli asintomatici, che comunque hanno continuato ad essere fonte di contagio, ci porta oggi a continuare a registrare un numero sostenuto di positivi ai tamponi». Per Grasso «si è privilegiato gli ospedali, case di cura ed i ricoveri, creando posti letto dedicati ai casi Covid senza avere nemmeno la capacità di mettere in sicurezza pazienti ed operatori». Si contesta che «a tutt’oggi gli operatori ospedalieri non vengono sottoposti ad un doveroso screening con i tamponi», ma «si è preferito fare test rapidi, che non hanno nessun signicato diagnostico, anziché controllare gli operatori che avevano avuto contatti accertati con colleghi che si erano ammalati». Si aggiunge che è «ancora più grave il non screenare con tamponi periodici il personale che ruota (con i turni) sia in reparti Covid che non Covid». Si contesta che non c’è stata «una indagine epidemiologica, nè la sorveglianza attiva: inizialmente i tamponi naso faringei, richiesti dai medici di base non venivano praticati se non in occasione di ricovero ospedaliero. I familiari di soggetti positivi, non sottoposti a tampone, venivano invitati ad osservare la quarantena.  La comunicazione ai medici territoriali di messa in quarantena dei  pazienti ha coinciso spesso con la data di fine osservazione. Quindi gli eventuali contatti di pazienti positivi non sono stati ricercati, ne tracciati e ne sorvegliati nonostante le numerose richieste dei medici di base ai quali, invece, si rispondeva che il tampone era riservato solo ai sintomatici  Tardiva l’istituzione  delle USCA,  il cui fine è quello di collaborare alla cura e sorveglianza dei casi covid a domicilio, ma che attualmente sprecano tempo e danaro con i test rapidi». Infine, Grasso pone il dubbio che i test rapidi siano stati preferiti ai più costosi tamponi.


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