“Dieci donne” di Marcela Serrano

“Dieci donne” di Marcela Serrano. Un percorso attraverso il dolore e la sofferenza delle donne, che hanno in sé anche una grande spinta interiore a reagire, anche se a volte con impulsività o distruggendo la loro vita, per colmare un bisogno interiore. E’ il desiderio disperato di amore, di considerazione e di rispetto, delle nove protagoniste di questo intenso libro, che non ricevono dai compagni di vita. Esse rappresentano tante donne che hanno in comune la sensazione di estraneità, il sentirsi messa da parte, perché non si dà valore al suo essere persona, con le proprie paure e debolezze, ma anche con la sua capacità di realizzarsi autonomamente.

Ognuna di loro ha alle spalle un passato difficile, di mancanza e soprattutto di povertà di sentimenti vissuta anche nella propria famiglia di origine, in cui il risentimento che a volte sconfina con l’odio nei confronti della propria madre, come accade per Francisca, un odio che distrugge e non comprende il bisogno di fuggire di lei, di vagabondare attraverso le strade e i pensieri, per alterare la propria realtà che non si accetta, tentare di cancellare un dolore incommensurabile, senza valutare le conseguenze sulla vita della propria figlia, che ricade in uno stato di assoluta indifferenza, considerando la vita quotidiana “una paralisi”, fino a provare in un certo senso invidia per il fratello morto e provando nel proprio cuore un profondo ed estenuante senso di colpa, finchè riesce a reagire, spezzando in qualche modo ciò che lei percepiva come una maledizione.

Il desiderio di “esserci”, di essere visibile agli altri, nel rutilante mondo della televisione e del cinema, in cui tutto è basato sull’apparenza porta Manè a giungere a compromessi, pur di mendicare un piccolo ruolo, a lasciarsi andare completamente, a esprimere i propri lati oscuri e disperati, fino alla dipendenza dall’alcol e dagli uomini, per cercare di realizzare il desiderio di amare ed essere amata. Il degrado fisico che colpirà la donna rappresenta solo una delle facce di una profonda insoddisfazione interiore e pian piano lei giunge alla consapevolezza che con il passare degli anni cambia anche il concetto di tempo e accettare la vecchiaia è l’unica via d’uscita.

L’esistenza di Juana viene improvvisamente devastata dal problema di sua figlia, non riesce più a sentirsi quella di prima e la casa, in cui aveva racchiuso tutto, che era diventato un faro di luce, improvvisamente si spegne. Le sue sicurezze che l’avevano protetta dalla sua solitudine, dalla madre dolente che si era sempre sacrificata e dai ricordi dolorosi della sua infanzia che era andata in pezzi non trovano più un luogo dell’anima, poiché ”la casa è ciò che ti copre, come le piume di un uccello”. La sua vita non è più la stessa e i suoi sentimenti sono sottosopra e anche la storia d’amore che viveva con il suo uomo, sembrava prendere una strada senza uscita.

La parità dei diritti della donna diventa invece il baluardo dell’atteggiamento che Simona ha nei confronti della propria vita e dell’affermazione della propria indipendenza, in cui “tutto è nelle proprie mani” e non bisogna delegare alla presenza dell’uomo nella propria vita. La consapevolezza che è inutile, secondo molti uomini ascoltare le proprie emozioni, la rende piena di rabbia, non riesce ad accettarlo e crede fermamente che “la propria vita può essere piena anche se non si ha un compagno”. La sua aspirazione segreta è il distacco dalla sofferenza e da ciò che potrebbe causarla e significativa è la sua affermazione:”Brindo all’unica cosa che possediamo: il presente”. La violenza subita e il dolore che ne consegue diventa per Layla il terreno su cui vivere immersi nella rabbia, ma continuare a vivere e affrontare la maternità, cercando di rimanere sobria, altrimenti si tocca il fondo. Nonostante tutto, lei è dotata di una grande forza interiore e giunge a poco a poco alla consapevolezza che per poter guarire, qualsiasi persona deve essere capace di farsi carico dei propri ricordi e accettarli, trasformandoli in palpiti di speranza.

L’amore profondo ed eterno per il proprio uomo, è ciò che mantiene in vita Luisa, malgrado la lontananza, l’assenza disperata, perché il silenzio è l’unica cosa che uccide a qualsiasi età, anche da ragazza, che conduce a un desiderio di scomparire, mentre il corpo comincia ad ammalarsi, come conseguenza di una malattia dell’anima. Lupe si sente molto diversa dalle altre donne, per la propria natura e le esperienze che vive, cercando di trovare la forza di essere se stessa, le fa comprendere che è necessario dover smettere di mentire e non è possibile poter trasformare qualcuno, anche solo per un attimo, per sentirsi amata. Il silenzio del deserto consentiva ad Andrea di avvicinarsi al suo vero io; quella distesa infinita aveva rappresentato una fuga per sfuggire all’enorme vuoto che sentiva dentro, la speranza di trovare serenità da qualche parte. Avvertiva una maggiore capacità di contemplazione, poiché il deserto invita a scollegarsi dal tempo altrui e cercava di combattere la malinconia, quella sorta di lutto rivolto a se stessi, più che all’assente, mentre i ricordi vagavano lontano, al suo rapporto stretto con il nonno, che costituiva una figura di riferimento e al dolore per la sua morte.

La frase di Juana “A volte penso che la nostra storia personale faccia sempre parte della storia degli altri” costituisce il leit motiv di questo libro, in quanto tutte sono impegnate nello sforzo di essere un po’ più felici, di guarire, impegnate a vivere la vita nel migliore dei modi, nonostante quella che hanno avuto in sorte. Vi è un celato desiderio di aiutarsi l’una con l’altra e il filo che le tiene unite, che cerca di districare i fili aggrovigliate delle loro esistenze è Natasha, la loro psicoterapeuta che sembra racchiudere tutte queste storie in un abbraccio, per dare loro e a se stessa una parvenza di serenità.

A cura di Ilde Rampino

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