“Addio al piano” di Gianluca Di Donato

Un saggio, che è jl risultato di anni di esecuzioni e ricerche sui quattro cicli pianistici di Brahms che il pianista, affermato in tutto il mondo,  ha eseguito di nuovo recentemente in Liguria, Lazio e Sicilia

“Addio al piano. Gli ultimi quattro cicli pianistici di Johannes Brahms” di Gianluca Di Donato offrono un interessante saggio, risultato di anni di esecuzioni e ricerche sui quattro cicli pianistici di Brahms che il valente pianista Gianluca Di Donato, affermato in tutto il mondo,  ha eseguito di nuovo recentemente in Liguria, Lazio e Sicilia, offre un’accurata analisi, in termini prettamente e specificamente musicali sulla produzione di questo compositore che si può considerare unica nel panorama della storia della musica, poiché rappresenta la sintesi dell’epoca romantica, attraverso le sue opere.

“Addio al piano” di Gianluca Di Donato

I quattro cicli pianistici, argomento del saggio, rappresentano non solo l’addio al suo strumento, il pianoforte, ma anche la fine di un’epoca dominata dai classici, soprattutto Bach e Beethoven che avevano permeato con la loro musica gli elementi peculiari e l’inizio di una musica “nuova”. L’analisi accurata e particolareggiata che ne fa l’autore dà anima alla struttura del pentagramma per far scaturire le note di una meravigliosa melodia, mentre pone in rilievo l’energia, la forza e la decisione come elementi fondamentali del Capriccio, mentre nell’intermezzo in la minore si avverte una profonda malinconia.

Attraverso le lettere e le riflessioni contenute nel libro, ci si rende conto che molti elementi del vissuto personale di Brahms confluissero nelle sue opere, come i “tre livelli emotivi di uno stesso sentimento di nostalgia” che portarono alla trasfigurazione del dolore nell’opera “Ninna nanna dei miei dolori”, in cui la morte è intesa non più come sofferenza e dolore, ma come naturale conclusione della vita. Il carattere di Brahms era pieno di sfaccettature e non esternava la propria sofferenza, come quella per la morte della sua amica Elizabeth von Herzogenberg, a cui lo legava un rapporto molto stretto di affetto, ma anche di riservatezza, e il dolore per la morte della sorella Elise nello stesso anno. Il carattere ombroso del grande compositore si rivelò anche nel rifiuto della nomina a Doctor Honoris Causa dell’Università di Cambridge che gli fu conferita insieme a Giuseppe Verdi. Lo spirito inquieto di Brahms si incarnava nel suo motto: “Einsam frei aber” (libero ma solo), che poi diventò: “Frei aber einsam” (libero ma solo) che definiva il suo sforzo continuo di affermazione personale, sacrificando tutto alla musica e negandosi, come uomo, forse una serenità appagante, anche nei suoi rapporti amichevoli che si rivelarono difficili.  La sua musa più importante fu la pianista Clara Wieck Schumann, che costituì per lui un autentico punto di riferimento per circa 40 anni, fino alla sua morte: a lei Brahms sottoponeva la sua opera per un giudizio finale e lei stessa fu l’artefice di cambiamenti stilistici. Tra loro vi fu una ricca corrispondenza epistolare e Brahms voleva distruggere le lettere per un profondo senso di riservatezza, mentre Clara al contrario, le fece pubblicare per un senso di ambizione o forse ricerca di notorietà e questo episodio rischiò di distruggere la loro lunga amicizia.

La produzione musicale di Brahms comprendeva anche piccoli pezzi per pianoforte considerati brani da salotto che tuttavia venivano valorizzati dalla maestria del compositore. La perfetta espressione della polifonia che scaturiva dalla forma tripartita delle varie esecuzioni si distingueva nell’Intermezzo in si minore, dolce e triste, considerato da Clara Schumann “una perla rara”, mentre la Rapsodia n. 4 in mi bemolle maggiore si discosta dalle altre opere per la sua monumentalità e il suo ampio registro musicale.  Al di là della vecchia ed ingiustificata diatriba tra chi lo vedeva come conservatore opposto a Wagner e chi invece aveva saputo leggere in lui un vero progressista ed innovatore, come riconobbe, in un celebre saggio, 50 anni dopo Arnold Schönberg, quei 20 brani pianistici  rappresentano una sorta di diario intimo del più riservato dei compositori.

A cura di Ilde Rampino

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