Sbloccare l’edilizia mettendo in sicurezza il Paese. Pochi soldi e troppe regole bloccano l’edilizia. E l’Italia non costruisce più, mentre le fondamenta crollano. Una metafora che diventa realtà.

Un cantiere della viabilità

LA POLITICA È COME UN MARINAIO SENZA PORTO. L’Italia ha accumulato negli ultimi anni leggi-manifesto che hanno paralizzato l’azione amministrativa, bloccando tutto.
Se a questo aggiungiamo l’incapacità di sbrogliare la matassa, il risultato è la paralisi. E la politica lavora solo sulle emergenze (o quando un tema diventa trend topic su Twitter), senza costruire mai una strategia. Non costruiamo più e l’economia è rasa al suolo. E l’Italia, senza solide fondamenta, con infrastrutture che non reggono viene travolta da frane e maltempo. Il paragone tra lo stato del Paese e la terminologia dell’edilizia non è casuale, visto che il settore delle costruzioni è da sempre l’architrave dello sviluppo italiano. Da quando non va più, si è fermato tutto il resto. Per questo bisogna guardare con attenzione alla protesta del comparto che vede imprenditori e lavoratori uniti sotto lo slogan “rilanciamo l’edilizia per rilanciare l’Italia”. D’altra parte, dal 2008 abbiamo perso 120 mila imprese, il 35% degli investimenti, cioè 51 miliardi in edilizia privata e 26 miliardi in opere pubbliche, pari a 620 mila posti di lavoro. Se solo si sbloccassero le opere già finanziate per 26 miliardi si avrebbe un aumento del pil dell’1% nei prossimi tre anni. E a ben guardare ci sarebbe molto altro da fare, visto che per il Mit ci sono 77 opere incagliate che hanno bisogno di un commissario, mentre secondo l’Ance quelle ferme sono 749, per un totale di 62 miliardi. Scuole, ospedali, strade e anche opere fondamentali di messa in sicurezza del territorio (come il fiume Sarno, esondato a novembre) che non vanno avanti, per cui poi suona strano piangere sull’acqua (ri)versata su città e abitazioni. O viadotti autostradali che crollano. Purtroppo negli ultimi 25 anni sono entrate in vigore ben 308 nuove norme in materia edilizia, con una media di 12 all’anno. Allora non stupisce che oggici vogliano in media 15 anni prima che una grande opera si trasformi in cantiere, che diventano “solo” sei per quelle di piccole dimensioni. Tempi biblici. Per cui, prima ancora che i soldi, manca un sistema che funzioni, che permetta di mettersi al lavoro. Tanto che siamo penultimi in Europa per spesa di Fondi Strutturali, con 39 miliardi ancora non utilizzati. Le ultime mosse, a partire dallo sblocca-cantieri, sono andate nella direzione sbagliata, mentre servirebbe un diverso approccio, con un maggiore ascolto degli operatori. L’edilizia, infatti, nominalmente vale l’8% del pil, ma in realtà coinvolge una filiera complessa, che parte dal movimento dei materiali, passando per l’utilizzo di macchinari semplici e complessi, fino alle opere accessorie e di urbanizzazione. Senza dimenticare la progettazione, la manutenzione o l’amministrazione da parte di diversi tipi di professionisti. Per cui si tratta molto di più. Ecco, con una crescita dello zero virgola come quella attuale ci vorranno almeno altri quattro anni per tornare ai livelli pre-crisi. Per il settore dell’edilizia ne serviranno addirittura 22. Di questo passo, a mettere l’acqua nella malta o a giocare con i lego invece che posare mattoni, rischiamo di non costruire più. E di rimanere fermi a guardare le macerie.


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