La famiglia Moskat di Isaac Singer

Cammino attraverso le generazioni, che ricorda “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Ritratti particolarmente vividi di persone appartenenti alla società ebraico-orientale con la loro enorme ricchezza culturale, descritti con accuratezza e in alcuni casi con ironia anche nelle loro occupazioni quotidiane o al mercato

La famiglia Moskat di Isaac Singer | Recensione di Ilde Rampino.

E’ una sorta di cammino attraverso le generazioni, che ricorda “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Profondo è l’attaccamento alle tradizioni da parte dei vecchi e il desiderio di voler costruire un nuovo mondo, scevro da orpelli inutili, da parte dei giovani.

Ritratti particolarmente vividi di persone appartenenti alla società ebraico  – orientale con la loro enorme ricchezza culturale, che si respira, attraverso varie sfaccettature e contrasti attraverso le vicende private dei personaggi, descritti con accuratezza e in alcuni casi con ironia anche nelle loro occupazioni quotidiane o al mercato. Il protagonista di questo affresco familiare è Meshulam Moskat, dotato di grande intelligenza e acume, che si dedicava alle imprese più svariate, guadagnando enormi ricchezze, ma facendo anche alcune scelte sbagliate, come quella del suo terzo matrimonio, di cui si pentirà subito, perché cercava di creare intorno a sé una rete di affetti, ma anche di un potere economico che voleva trasmettere alla propria famiglia.

Meshulam pensava di sistemare le cose per sempre, ma era circondato da una famiglia spesso incapace: il prestigio che era riuscito a conquistarsi tra la gente della sua città e anche all’esterno e che lo rendeva orgoglioso e felice, veniva offuscato dalla sua insoddisfazione familiare, dai progetti che faceva per l’avvenire dei figli, che venivano sistematicamente vanificati.

Egli pone la religione e la tradizione alla base della sua vita, ma spesso si troverà a fare i conti con il carattere ribelle dei suoi figli e nipoti e proverà vergogna per gli atteggiamenti contrari alla religione, come nel caso della figlia del rabbino che si era separata e viveva con un altro. Il rabbino si sentiva al sicuro da tutte le tempeste, se era al leggio con i rotoli dell’Arca della legge e consigliava la famiglia a non intervenire,  non costringendo la ragazza a sposarsi per evitare che si allontani dalla virtù. Il tormento interiore di Meshulam è legato soprattutto a quella “generazione affondata nel peccato” e si rende conto che ha dei figli buoni a nulla, privi di spina dorsale per assumersi le proprie responsabilità, mentre egli vorrebbe che i giovani si acculturassero e si preparino a frequentare l’università.

La famiglia che lo circonda tenta in qualche modo di reagire a quella presenza così imponente di Meshulam e si comporta spesso in modo avventato, ma secondo le proprie esigenze, per liberarsi da una situazione insostenibile, come sua figlia che lascia il marito Abram, dopo anni di tradimenti, torna a casa e viene accolta dal padre con affetto. Vi è un personaggio, Asa Heshel, bambino prodigio, che diventerà una figura di intellettuale di grande cultura, giunto a Varsavia con tanti progetti, ma pieno di dubbi, incrocia la propria strada con quella di Meshulam e della sua famiglia e in un certo senso ne sconvolge l’apparente stabilità. Il suo atteggiamento mai del tutto chiaro crea tensioni e contrasti tra i vari personaggi, anche a causa della passione che fa nascere nel cuore di due donne, Hadassah e Adele e la sua irrequietezza creerà dolore e rimpianto in entrambe. Adele, figlia della terza moglie di Meshulam, aspetta un figlio da lui, ma Asa, irretito dalla passione nei confronti dell’altra, la abbandona.

Hadassah scappa di casa, pensa di farsi una vita con lui, provando un profondo desiderio di indipendenza, e cominciano a vivere insieme, ma l’indecisione di Asa rovinerà entrambi i rapporti. Quando  Meshulam si ammala, intorno al suo capezzale vi è un affrettarsi di sospetti e di interessi: ognuno, compreso Koppel, il suo braccio destro, innamorato segretamente da anni di Lia, la figlia di Meshulam, cerca di approfittare il più possibile della florida situazione economica di Moskat, giungendo persino a derubarlo. La questione del testamento diventa il terreno su cui si fronteggiano le inimicizie e le ambizioni personali di tutti i membri della famiglia. Scaturisce da questo interessante e intricato romanzo il senso della ricerca di un ruolo, da parte degli ebrei, nella società e pregnante è il diverso atteggiamento e carattere dei personaggi della famiglia Moskat.

Mentre le figure maschili sembrano cercare una propria stabilità, affettiva ed economica, attraverso tentativi e scelte sbagliate e soprattutto vivendo dubbi laceranti, ma che non fanno far loro un vero e proprio balzo in avanti per cambiare la situazione, le figure femminili si caratterizzano per la loro incoscienza, passionalità, ma determinazione, pronte ad accettare le conseguenze delle loro scelte.

L’elemento che rimane, attraverso tutte queste storie, è il senso di unione degli ebrei, nonostante tutto, nonostante la guerra, il ritornare, tutti insieme, anche se decimati dalle malattie, a quei riti, a quel senso di appartenenza a qualcosa che, anche se a volte non si crede, è un modo per sentire una base, un qualcosa di solido, soprattutto quando viene colpito un popolo, sempre cacciato e mai accolto. E la nuova generazione, quella che cerca il suo posto in Palestina, sempre per trovare le proprie radici, è un modo per ritornare a se stessi. I vecchi stanno a guardare i cambiamenti e a volte non riescono ad accettarli, a volte rimandano all’immagine del Principe Salina del Gattopardo. Ma questa è una storia di dolore, ma anche di supremo orgoglio, che pone i personaggi davanti a se stessi e alla loro consapevolezza di sbagliare.

 

 

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