La locandina del film "Totò contro i quattro", di Steno (1963)

di Ilde Rampino
Una narrazione che diventa confronto tra quattro grandi attori: Peppino De Filippo, Erminio Macario, Totò e Aldo Fabrizi che si delinea come un susseguirsi di episodi, di testimonianze e di legami, il cui titolo si ispira al film “Totò contro i quattro”, interpretato da loro nel 1963 con la regia di Steno. Un libro diviso in quattro sezioni, trattate con particolare suggestione da due autori, Ciro Borrelli e Domenico Livigni, accomunati dalla passione per il teatro che ci accompagnano, prendendoci per mano, al racconto dei ricordi di vite straordinarie.

L’intervista immaginaria che Ciro Borrelli fa, con Peppino De Filippo, dopo uno spettacolo teatrale rivela particolari inediti, legati anche ala loro vita personale e alle loro difficoltà per crearsi un proprio ruolo sulla scena e sulla vita. De Filippo mette in risalto la meravigliosa capacità di improvvisazione di Totò sulla scena e al cinema, ma ricorda anche la sua insistenza a mettere in luce, a volte in modo troppo ostentato le sue origini nobiliari, che avevano alla base una sorta di tentativo di rivalsa per la sua condizione che De Filippo conosceva molto bene.

Ricorda anche molti episodi divertenti, come quando furono costretti a interrompere una recita con il rischio di essere arrestati dai fascisti, circostanza in cui Totò non perse la sua abituale ironia. La sua collaborazione con Totò era incredibile: ricordiamo, tra i tantissimi film, “La banda degli onesti” e “Totò, Peppino e la malafemmena”.

Un’immagine diversa, ma piena di affetto e soprattutto di rispetto è quella che scaturisce dalle parole del grande attore Nino Taranto che ricorda di non aver avuto il coraggio di dargli del “tu”, pur avendo lavorato con lui in tanti film. Il colloquio con Nino Taranto avviene, nell’immaginazione di Ciro Borrelli, nel bosco di Capodimonte a Napoli e si struttura attraverso due figure, di un anziano e di un bambino, che si scambiano ricordi e impressioni, circondati dai passanti.

L’attore, che ha impersonato i ruoli più diversi, dal comico al drammatico, ricorda l’incontro con Titina De Filippo, la collaborazione con Totò in tante commedie famosissime, come “I due colonnelli” e “Totò truffa ‘62”. Profondo è stato il suo dolore per la sua morte, avvenuta il 15 aprile 1967 e racconta che Totò ebbe tre funerali, uno a Roma, uno a Piazza Mercato a Napoli e uno alla Sanità, il suo luogo natale, poiché il popolo pretese il passaggio della bara, per poterlo onorare. Nino Taranto pone l’accento sul suo sentimento di orgoglio di essere il depositario della tomba del principe, di cui si occupava e in cui non mancavano mai fiori.

Il rapporto di amicizia e di condivisione che legava Erminio Macario a Totò viene analizzato da Domenico Livigni, immaginando il dolore per la sua morte nel momento stesso in cui l’apprendeva. Sembravano molto diversi, Totò del sud e Macario del nord, di Torino, ma li accomunava il profondo amore per la loro città di origine, la loro nascita in un quartiere popolare, i piccoli lavori per riuscire in qualche modo a sbarcare il lunario e dare una svolta alla loro esistenza precaria: ma in loro era anche vivo il sentimento di rabbia di figlio abbandonato. Si consideravano “missionari dell’allegria” in un mondo di finta realtà, dove riuscivano a trovare il proprio benessere. Racconta che Totò rifiutò il lavoro umile, offertogli dal padre nobile, mentre Macario, dal cuore intraprendente e giramondo, calcava i primi palcoscenici di paese, con forza ed entusiasmo.

Particolare è l’ iconografia particolare e rocambolesca degli esordi da teatrante, le dure leggi della gavetta, la gestualità clownesca, come l’immagine di “Totò pazzariello”. Arrivò poi il successo nella Rivista, un genere che andava molto in voga a quel tempo e Totò fu scritturato dal famoso impresario Jovinelli, proprietario del famoso teatro.

Tanti i film in cui lavorarono insieme, come “Lo smemorato di Collegno” e “Il monaco di Monza” . Una passeggiata romana diventa il luogo in cui Domenico Livigni immagina di incontrare Aldo Fabrizi, “l’uomo più salutato di Roma”, come veniva definito, connaturato di umanità romana, che ricordava la sua collaborazione con Totò in tanti film, come “Guardie e ladri” e “I tartassati” e i luoghi della sua giovinezza, come Campo de’ fiori. Il suo sorriso bonario faceva da contrappunto al racconto dei suoi anni difficili, ai tanti mestieri fatti alla malinconia che vinceva “con la pastasciutta”.

Era stato, oltre che attore, autore di tante commedie e poesie in romanesco e non dimenticava di essere stato concepito a Napoli, durante il viaggio di nozze dei suoi genitori.

Un libro quindi originale e accattivante che ci avvicina al mondo dei grandi attori di un tempo.

 

 

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