La recensione di Luisa Cavaliere

La locandina del libro di Elisa Forte “Irpine”

Donne. Raccontare e raccontarsi in un gioco di rimandi che rende creativo lo scambio. Lo rende capace di mettere al mondo, ricreare chi di quella narrazione è protagonista. Le donne, il femminismo della fine del secolo scorso hanno, abbiamo sperimentato la potenza conoscitiva del dirsi all’altra per trovare nella voce, nella selezione delle parole e, poi, nella trama degli eventi, nei legami profondi che si dicono, un senso, ammesso che ce ne sia uno, dell’umano esistere.

Senza l’ambizione di discorsi universali, rarefatti nel loro astratto, inefficace simbolismo e guidata solo dal desiderio di mostrare il valore morale etico ed estetico delle vite che si faceva narrare, Elisa ha raccolto con pazienza e passione eventi, ricordi, giudizi, solitudini, domande irrisolte, coraggio e determinazione.

Non si è tirata fuori, rifugiandosi in una impossibile oggettività e ha tratteggiato biografie intense unite dall’amore per una terra, l’Irpinia, che ancora porta le tracce profonde di una identità che ha resistito quasi indenne sotto i colpi di una omologazione che ci vorrebbe tutte uguali. Tutte dolosamente dimentiche delle radici. Di quelle radici che, a tratti, possono apparire come inutili reperti archeologici.

E la dimenticanza della terra che ci ha generato, della musica che abbiamo ascoltato, delle relazioni che abbiamo nutrito e che ci hanno nutrito, sembra il prezzo (altissimo) che dobbiamo pagare per diventare moderne, al passo con i tempi, ubbidienti a modelli forgiati per altre “temperature”, per altri usi, per altri colori. La scrittura di Elisa azzarda l’impossibile: raccontare le mille facce di una differenza che non nega la modernità (e come potrebbe? E, soprattutto, perché dovrebbe?) ma la piega. La addomestica.

E lo fa in piena sintonia con le donne che incontra con il loro timore di perdersi in un indistinto destino che le minaccia di insignificanza. Così in una feconda coincidenza, nella trama delle biografie si vede l’autrice. Se ne coglie il profilo. Si leggono le parole che usa per accogliere la narrazione delle altre. Di quelle altre che ha scelto con cura seguendo non tanto il percorso del successo, quanto, invece, quello dell’autorevolezza. Tutte ispirate del forte desiderio di rompere la maglia soffocante degli stereotipi che le vorrebbe col “maccaturo” nero e lo scialle di lana e che non coglie le forme inedite e fortemente anticipatrici che assume il loro bisogno di libertà.

La necessità condivisa da Elisa e dalle sue interlocutrici, di costruirsi giorno per giorno, nella vita quotidiana, nelle scelte, nel seguire passioni e sogni, nel costruirsi una soggettività determinata e responsabile, di andare incontro al futuro con le armi della consapevolezza che e con lo sguardo capace di trascendere condizioni materiali non sempre entusiasmanti. L’ultima ma non ultima ragione per dire grazie ad Elisa è l’aver contribuito in maniera significativa ad un archivio biografico indispensabile eredità per il futuro. Argine a quella nefasta e, purtroppo consolidata abitudine, di lasciare alle lacune della memoria il passato e di pensare che si ricominci sempre, inesorabilmente da capo.


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