Paul Balke

Paul Balke è un giornalista e scrittore di Utrecht, in Olanda, ma soprattutto rappresenta oggi una delle voci più autorevoli a proposito del comparto vinicolo in Italia, grazie agli studi e ricerche compiuti in Piemonte sul Barolo, dove si è trasferito nel 2009. La sua incessante ricerca del bello lo ha condotto fino in Campania, e poi in Irpinia, terra di cui pare essersi perdutamente innamorato, grazie alla conoscenza del Taurasi Docg. In una puntata del noto programma tv della Rai Italian Beauty, Paul Balke ha raccontato l’Irpinia del vino, insieme agli imprenditori Piero Mastroberardino e Milena Pepe, dichiarando di volere approfondire la conoscenza del territorio con le strutture locali. Organizza da ben 10 anni incoming con la stampa estera italiana in Piemonte e in Friuli, ed è pronto ad indossare la fascia di ambasciatore d’Irpinia attraverso una pubblicazione sulla Campania, sulla scia dell’atlante dedicato al Piemonte. Non solo. Nell’intervista rilasciata a Nuova Irpinia conferma la volontà di trasferirsi in un casale della provincia, affiancato ad un vigneto di aglianico, ma ha tracciato anche le coordinate per la costruzione di un grande brand del territorio dedicato al Taurasi che connoterà l’intera provincia. “Dalla produzione all’imbottigliamento, dalla ristorazione agli alberghi, dalla mobilità ai tour operator, fino alle agenzie di promozione: “C’è un grande industria che ruota intorno al vino: l’Irpinia deve cogliere questa opportunità”.

I vigneti dell’Istituto Agrario De Sanctis di Avellino

Paul come ha conosciuto l’Irpinia?

«L’Irpinia fa parte delle zone più importanti e particolari del patrimonio del vino italiano e rientra nelle conoscenze generali di ogni esperto di vino, o almeno dovrebbe. Conoscevo già Taurasi, ma non bene il territorio, ho potuto farlo molto meglio quando sono arrivato qua».

Cosa l’ha colpita?

«Prima di tutto il vino Taurasi Docg, che è uno dei grandi vini importanti a livello mondiale, ma gran parte del pubblico, anche quello italiano, ancora non lo sa e questo ovviamente non va bene: la reputazione, l’immagine del Taurasi si ferma ad un circuito di esperti, sommelier e pochi altri. Il vino non ancora è noto a un pubblico più ampio come per esempio il Barolo o la Borgogna. Per questo bisogna lavorare bene alla promozione e comunicazione di questo grande vino. Ho già scritto un articolo prima di Natale su questo argomento, così come vorrei approfondire ancora le mie conoscenze».

Ha suggerimenti da dare a tal proposito?

«C’è un aspetto commerciale da considerare: se un vino così applicasse prezzi molto alti creerebbe interesse, in quanto riuscirebbe a farsi notare a livello internazionale. Considero molto positivo che un produttore di Taurasi riesce ad applicare un prezzo di 120 euro a bottiglia e farlo affermare come il vino più caro del Sud Italia, ma c’è bisogno di più produttori con questo coraggio, perchè solo così si creerà uno sviluppo importate per l’Irpinia, che porterà una varietà di pubblico in zona e si creeranno le condizioni per l’enoturismo. Basti osservare quello che sta producendo il Barolo: in 5 anni si è assistito ad una grandissima crescita di arrivi di un pubblico internazionale, interessata a mangiare, dormire, bere e stare bene. E’ innegabile che questo meccanismo offra un grande impulso al territorio».

L’Irpinia è ancora lontana da questa strategia di marketing territoriale.

«L’Irpinia non è ancora riuscita ad approfittare della presenza di un grande vino come il Taurasi Docg. Nelle zone costiere campane arrivano moltissimi stranieri, ma nessuno conosce l’Irpinia. Per sollecitare lo sviluppo ci vuole un grande lavoro di promozione e fare in modo che gli stranieri sappiano già al loro arrivo dell’esistenza di una grande area vinicola da esplorare e visitare. Ad oggi quando arrivano hanno conoscenza del Vesuvio, Pompei, Napoli, Amalfi; la provincia di Avellino invece risulta assente perchè manca una immagine del territorio da promuovere. Giungere a questo obbiettivo sarà importante e bisogna lavorare molto per costruire un cartellone mirato».

Il Castello Marchionale di Taurasi

Poi bisognerà lavorare sull’accoglienza. Molte cantine vinicole e produttori lamentano l’assenza delle strutture ricettive.

«Si avverte la mancanza di strutture ricettive ed altri, è vero, ma questo non è un problema: 10 anni fa tutto questo mancava anche in Barolo ma adesso gli alberghi ci sono e sta arrivando un grande numero di turisti ‘pregiati’. Quando il mercato c’è le strutture sanno muoversi. Altre potenzialità inespresse possono essere la gastronomia e il tartufo, che sono elementi forti da impiegare per arricchire l’immagine del territorio, proprio come in Piemonte, anche se il protagonista indiscusso resta il vino di altissima qualità».

La gastronomia è strettamente legata al vino.

«Sulla gastronomia devo rilevare un appunto: trovo molto strano che nella zona del Taurasi Docg non ci sia un ristorante stellato. Nel Barolo ce ne sono tanti e sono particolarmente ambiti. Credo che questo manchi a Taurasi: tra un grande vino e i ristoranti c’è sempre un legame. Anche perché i ristoranti di solito hanno cantine con vecchie annate, utilissime a chi arriva da fuori per capire e conoscere meglio il vino».

Lei è un profondo conoscitore del Piemonte. Quali sono le differenze fra il nord e il sud Italia secondo lei?

“Vengo molto volentieri nel Sud. Per me il Sud Italia è affascinante e cerco sempre di ritornarci. Per quanto riguarda vino e gastronomia il Mezzogiorno non ha niente da invidiare al Nord: è ricchissimo di tradizioni, cultura, e prodotti di grande qualità, e in questo contesto devo dire che l’Irpinia ne è una leader. Però la domanda iniziale è difficile: per certi aspetti non ci sono grandi differenze tra Piemonte ed il Sud perché le problematiche sono identiche, come il territorio da sviluppare, la mancanza di lavoro, paesi che sono in difficoltà perché i giovani scappano, ed altre».

Continui.

«Il Piemonte è pieno di strutture fallite, progetti non andati in porto e paesi abbandonati. Le Langhe ed in modo minore anche il Monferrato sono un’eccezione perché hanno conosciuto lo sviluppo negli anni recenti e di conseguenza tanti giovani non scappano più. Ho suggerito infatti a tante persone importanti in Irpinia, fra produttori e istituzioni, di andare in Piemonte e osservare come il territorio si è sviluppato. Se vorranno, organizzerò io stesso un tour per far capire loro che anche l’Irpinia può ambire a quel tipo di crescita perchè le potenzialità ci sono tutte».

Uve di Aglianico

Ha notato altre differenze? Ad esempio sulla mentalità?

«Credo che siano delle banalità e non voglio entrare in certi pregiudizi. Il Sud Italia ha davvero molto da offrire dal punto di vista turistico, con grandissime risorse da sviluppare con cura: non si può pensare soltanto al turismo di massa. Troppe volte infatti, alcuni progetti di sviluppo partono da un mercato debole, tipico della mentalità italiana, ma bisogna guardare l’estero e rendersi conto delle potenzialità: solo cosi si può sviluppare il Mezzogiorno. Ho avuto la fortuna di assistere a tante feste patronali nei paesi del Sud Italia, che ho trovato bellissime e di grande valore culturale: un’idea sarebbe di chiedere il riconoscimento dell’Unesco per queste feste, e farle diventare patrimonio dell’Umanità. Il Sud è pieno di particolarità, cultura, cose da raccontare. Mi affascina sempre e temo che questo patrimonio possa disperdersi».

Perchè?

«La mia impressione è che nel Sud Italia lo sviluppo e le attività arrivino in modo molto lento. Magari perché il settore pubblico ha dei tempi lunghi (questo anche a Nord oppure in Olanda) ma tutte le decisioni importanti prendono veramente molto tempo e questo non aiuta lo sviluppo. Bisognerà accorciare i tempi: meglio prendere una decisione subito, piuttosto una che non arriva mai».

Come guarda invece complessivamente all’Italia?

«Credo che fra Nord e Sud non ci siamo grandi differenze, e la necessità sia la stessa ovunque: bisogna creare posti di lavoro. Non solo per un mese o un anno, ma posti fissi. Se non può farlo lo Stato allora lo deve fare il settore privato, e questo diventa possibile solo quando imprenditori hanno fiducia nella politica. Il vero problema è che a livello nazionale la politica non è riuscita a creare un clima stabile e tranquillo nel quale le aziende si possano sviluppare come vogliono. A questo bisogna aggiungere che c’è incongruenza tra formazione e lavoro: molti studenti vengono formati per un lavoro che non esiste e tante aziende hanno bisogno di tecnici che non vengono formati. Poi spesso accade che non conoscono le lingue straniere, e solo poche persone parlano l’inglese. Ad ogni modo, l’Italia ha bisogno di positività: oggi si trova in una spirale negativa e continua a peggiorare».

Le uve dell’Aglianico

L’Irpinia vanta ben tre Docg, ma lei ha già espresso la sua preferenza. 

«Ho una predilezione per il Taurasi Docg, che è uno dei miei vini preferiti in assoluto. Per me è davvero uno dei più grandi vini del pianeta e sono convinto che per questo vino c’è un grande futuro. E’ importante vedere le cose con la dimensione giusta affinchè davvero il Taurasi si possa considerare una delle grandi eccellenze dell’Italia, insieme col Barolo, il Brunello, il Barbaresco, ma è il territorio a doversene rendere conto, e ho paura che l’Italia non sia ancora pronta per questo messaggio. Infondo neanche il Barolo viene molto bevuto in Italia».

Dal suo viaggio attraverso i vigneti si è già fatto una idea del territorio? Qual è il minimo comune denominatore che terrà come bussola della sua narrazione?

«Credo che l’Irpinia sia un territorio molto particolare, che ha anche un aspetto mistico. Ci sono dei posti con grande valore culturale e storico, che di certo servono a creare molta curiosità per un pubblico più ampio. Penso a Gesualdo, al castello di Taurasi, e a tanti altri».

Vigneto di aglianico- Areale del Taurasi- Tenuta Cavalier Pepe

Quali sono invece le criticità più evidenti che ha riscontrato, nel comparto vinicolo, ma anche in generale?

«La mancanza di ‘credere’ nella propria ricchezza. Se si vuole costruire una strategia mirata è necessaria la collaborazione tra enti, ovvero fra comuni, camera di commercio, regione, associazioni, ed altro, che oggi non c’è. Senza contare che a guidare il processo deve essere il Consorzio di Tutela dei vini d’Irpinia, che deve rafforzarsi nelle sue attività».

Quanto è importante la formazione – e quindi le scuole- per fare del buon vino?

«Ci sono vari aspetti. Prima di tutto le aziende stesse devono avere la conoscenza e competenze per poter fare buon vino. Tanti lo fanno già e questo dimostra che le competenze ci sono (non sempre il migliore vino viene prodotto da un laureato). Sicuramente qui la formazione è stata determinante, ma ci sono anche altre competenze che devono essere acquisite: la conoscenza dell’inglese, e non solo da parte delle aziende ma anche per le strutture ricettive. Poi ci sono le competenze in strategie di marketing internazionale».

La sede dell’Istituto Agrario Francesco De Sanctis di Avellino

Lei ha annunciato di volere diventare ambasciatore dell’Irpinia per far conoscere questo lembo di terra nel mondo. E’ così che si costruisce il mercato? Quali sono gli altri progetti che ha per questa provincia?

«Il ruolo di ambasciatore è impegnativo, certo, ma mi impegno a esprimere il potenziale di questa provincia. Credo che l’Irpinia abbia bisogno di un paio di persone che la raccontano, come giornalisti, blogger ed altri, e io sarò felice di essere fra questi. Il mercato si costruisce con un paio di aspetti: un buon prodotto- che già c’è-, un buon marketing, una buona logistica e una buona comunicazione. Poi un paio di interlocutori come me e il dado è tratto».

Davvero farà dell’Irpinia la sua dimora? E in quale paese si trasferirà?

«Ho considerato questa ipotesi e la sto ancora valutando. Comunque devo considerare anche gli altri lavori che mi portano a viaggiare molto e a stare all’estero. Ma ho intenzione di tornare sempre in Irpinia, questo è sicuro. Mi piacerebbe perché questo è un bellissimo territorio e qui mi sento bene. C’è tanto da fare. Sul paese non ho ancora deciso, l’importante è che ci sia un piccolo vigneto di aglianico a cui potermi dedicare».


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