La sede dell'Alto Calore, in corso Europa ad Avellino

Il risanamento dei conti dell’Alto Calore ed il futuro dell’azienda idrica irpina passano per la rimodulazione della strategia di intervento, approntata dall’amministratore Michelangelo Ciarcia, con il supporto tecnico dello studio Pozzoli.

Michelangelo Ciarcia, presidente dell’Alto Calore Servizi spa

Archiviata l’ipotesi dell’aumento di capitale da parte dei Comuni e bloccato l’ingresso di soci esterni nella compagine azionaria, adesso si punta sull’accensione di un mutuo di 50 milioni di euro con Cassa Depositi e Prestiti o, in alternativa, ad un prestito bancario. (Leggi l’articolo)

Una strada, quella del mutuo, di per sè praticabile perchè la Cdp, ormai da tempo, sovvenziona non solo gli investimenti della pubblica amministrazione, ma anche le imprese, sostenendo progetti di interesse generale e le aziende impegnate nella fornitura di servizi pubblici, attraverso finanziamenti Corporate (di supporto al capitale aziendale) e Project Finance (sostegno economico per progetti di lungo periodo), nonché partecipando a Fondi equity infrastrutturali, capaci di investire su settori di servizio innovativi e responsabili. Tra le priorità del piano industriale di Cassa Depositi e Presititi, inoltre, sono stati individuati i settori dell’ambiente e delle reti di pubblica utilità, a cominciare dai segmenti idrico ed energetico.

La situazione di cassa dell’Acs è in progressivo miglioramento. L’esercizio dello scorso anno si era già chiuso in leggero attivo ed il percorso avviato dovrebbe portare ad un abbattimento dei costi e ad un incremento degli introiti. Riduzione del personale, a seguito del pensionamento di diverse unità, recupero delle morosità, soprattutto di grandi utenze istituzionali o aziendali, tagli dei costi energetici, aumento delle tariffe del servizio: sono alcuni degli elementi entrati in gioco a favore della società, che così ha la possibilità di recuperare risorse per la gestione ordinaria e tranquillizzare gli istituti di credito con i quali opera per le anticipazioni.

L’obiettivo però è ridimensionare il debito consolidato, che ammonta a 140 milioni di euro. Attraverso un maxiprestito sarà quindi possibile pagare fornitori e aprire la partita dei crediti avanzati dai Comuni per la depurazione. L’avvio dei lavori di riqualificazione della rete acquedottistica adduttrice dovrebbe poi creare ulteriori possibilità. Innanzitutto, riducendo gli sprechi di acqua, che superano il 50% delle risorse immesse, con conseguenti ulteriori risparmi, ma anche attivando nuove opportunità economiche. Se, infine, si riuscisse ad attivare un piano di finanziamento per l’efficientamento energetico, l’Alto Calore potrebbe coprire i costi per gli investimenti già previsti per l’ammodernamento ed il potenziamento degli impianti di sollevamento e abbattere la principale voce di spesa del bilancio, peraltro con un beneficio per l’ambiente.

Ma non è tutto. I comitati per l’acqua pubblica hanno opportunamente rimesso all’ordine del giorno due questioni importanti ed imprescindibili, chiamando in causa la Regione: il ristoro ecologico e la perequazione delle tariffe. E cioè: “la contribuzione da parte degli altri fruitori dell’acqua irpina (Napoli, Salerno e Regione Puglia) al sostenimento del peso della custodia e tutela del bacino idrico già in carico ai comuni irpini ed il livellamento della tariffe tra i vari fruitori della stessa regione, in modo da redistribuire i maggiori costi sopportati dalle popolazioni irpine a causa della conformazione montuosa della nostra provincia”.

Una questione tanto più urgente e non più rinviabile, se si pensa che ad altri operatori e territori vengono concesse condizioni di favore nella rivendita dell’acqua, proveniente dall’Irpinia, tramite la società regionale Campania Acqua spa. Alle suddette questioni, però, se ne aggiunge una terza ad esse connessa: quella dei costi di gestione delle reti adduttrici di proprietà della Regione, finora in carico all’Acs. Un tema sul quale Bonavitacola ha sostenuto di non essere stato, stranamente e colpevolmente aggiungiamo noi, interpellato.

Questa, complessivamente presa, non è soltanto una vertenza di una azienda o di un territorio, ma una pianificazione necessaria, a tutela di un patrimonio ambientale e naturalistico, e di razionalizzazione dell’uso delle risorse idriche, che riguarda almeno tre regioni, dissetate dalle sorgenti irpine. Su questi nodi centrali finora si è registrato un sostanziale silenzio della politica e delle istituzioni, comprese quelle locali, o azioni superficiali, di piccolo cabotaggio e talvolta spregiudicatamente campanilistiche, che hanno agevolato le condotte speculative e predatorie, fin troppo presenti in questi anni.

Ma la difesa di un bene comune come l’acqua e la gestione pubblica del servizio idrico, in Irpinia, come nel Sannio ed altrove, passa – come hanno evidenziato anche in questo caso i comitati civici – attraverso un progetto di trasformazione dell’attuale operatore, l’Acs, in azienda speciale. Una proposta che sta tornando di attualità e che potrebbe essere “istituzionalizzata” con il disegno di legge Daga, in discussione in Parlamento, per una gestione partecipativa del ciclo integrato delle acque.

Una strada che già da decenni è stata indicata, nell’indifferenza dei più, soprattutto di chi ogni volta era pronto a rimettere tutto in discussione, allo scopo, nemmeno tanto recondito, di aprire le porte ai privati, alle speculazioni di multinazionali che hanno già dimostrato sul campo anche la propria inadeguatezza rispetto alle esigenze della comunità e alla necessità di una maggiore efficienza dei servizi.

Tutto ciò però comporta un giro di vite nella concezione e nella pratica della gestione pubblica, più facilmente attuabile con uno strumento come l’azienda speciale, ed una maggiore e costante attenzione della cittadinanza.

A margine di questa analisi, andrebbe ricordato a qualcuno, evidentemente avvezzo a tali atteggiamenti, che la giusta e legittima battaglia in difesa dell’acqua pubblica non può essere trattata al pari di una merce da mettere in vendita o scambiare, né come mera propaganda, soprattutto se si occupano ruoli istituzionali, che in sé dovrebbero comportare maggiori vincoli in chi li riveste e non l’opportunità di sfare sfoggio del proprio esercizio del potere o del proprio vaniloquio.


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