“Emigrare in Australia ci ha ridato la speranza…”

INTERVISTA AD UNA COPPIA DI GIOVANI CHE HA DECISO DI EMIGRARE AD ADELAIDE NEL 2015 E CHE OGGI DOPO TANTI SACRIFICI HA OTTENUTO LA RESIDENZA. Partiti da Sant'Angelo dei Lombardi subito dopo il matrimonio, hanno realizzato il sogno di una vita insieme nella 'terra delle possibilità'. "Ci fa rabbia guardare le immagini dell'Italia e di tutti i giovani laureati che non trovano lavoro"

Un numero sempre crescente di giovani decide di fare fagotto ed emigrare. Le innumerevoli denunce del profondo Sud sullo svuotamento dei piccoli paesi delle aree interne, come delle città, ha aperto una crisi senza precedenti, che si ripercuote sulle politiche lavorative, dei servizi, e sulla qualità della vita in generale. La storia che racconteremo rappresenta infatti il minimo comune denominatore della condizione della stragrande maggioranza dei giovani irpini, stanchi e delusi dalla ricerca spasmodica di lavoro, che affidano ad un passaporto l’ultima speranza di un futuro migliore. Non solo. I protagonisti della nostra storia, dopo tre anni di sacrifici all’altro capo del mondo, guardano all’Italia con rabbia e amarezza, ma sottolineano il bagliore della nuova vita che hanno costruito ad Adelaide, in Australia. E mentre Gerardina, trentenne di Melito Irpinio esalta le infinite possibilità di lavorare e realizzarsi grazie alla meritocrazia, Rocco, 35enne di Sant’Angelo dei Lombardi affonda il coltello sulla nostalgia del calore umano delle amicizie, del ritmo lento e dell’unione della famiglia allargata.

Ragazzi come è nata la decisione di partire per l’Australia?

“E’ nato tutto per caso e senza riflessioni estenuanti: ci siamo conosciuti nel 2015 ed entrambi vivevamo un forte malcontento lavorativo. Abbiamo deciso subito di sposarci, e dopo l’ennesima delusione di una chiamata che non è mai arrivata, Rocco mi ha informata che in Australia sua madre aveva dei parenti. Così da una banale chiacchiera in macchina, mi sono messa in moto per le ricerche per capire come fare e da dove iniziare”.

Da dove siete partiti?

“Abbiamo fatto delle ricerche su internet e abbiamo trovato un portale che si occupa di fornire informazioni sulle vacanze studio in Australia e su come trasferirsi per l’inserimento nel mondo del lavoro. Ci siamo accorti della disponibilità di una card, la working holiday visa, che offre il permesso di soggiorno per un anno, ma essendo noi una famiglia Rocco aveva superato l’età anagrafica prevista per gli studenti, quindi ci siamo rivolti all’Ufficio Visti, e ad un’altra agenzia dedicata a fornire tutte le informazioni su come trasferirsi in Australia”.

Quindi cosa avevate in mano quando siete partiti?

“Siamo partiti il 30 settembre 2015 con un visto per studiare, la laurea e le esperienze lavorative pregresse: sono stati inviati tutti i nostri documenti ad un pubblico ufficiale per le traduzioni, e il primo visto accordato è stato di sette mesi, in cui siamo andati a scuola di inglese per raggiungere un livello accettabile e avevamo la possibilità di lavorare 20 ore a settimana”.

Dove avete trovato lavoro?

“Nei primi sei mesi in una rosticceria italiana- spiega Gerardina- mentre Rocco aveva trovato impiego in un’azienda di trasporti. Nel frattempo avevamo ingaggiato un avvocato, impegnato presso l’ufficio immigrazioni per avviare altra documentazione. Rocco voleva utilizzare la sua laurea in Tecnico della sicurezza sul lavoro, e rifarsi alla lista delle posizioni lavorative aperte pubblicate dal Governo australiano. Quella lista era pienissima di opportunità lavorative, dall’elettricista fino al calciatore”.

Come si accede alla lista del Governo?

“Attraverso il raggiungimento di un punteggio, dato da diversi fattori, fra cui il titolo di studio, la conoscenza della lingua, esperienze lavorative ed altro. Il minino per accedervi è di 60 punti, ma noi raggiungevamo la soglia di 55, così pensammo che quella non era più una strada percorribile. Siamo venuti invece a sapere che per ottenere il rinnovo del visto, e quindi un lavoro, avremmo potuto rivolgerci ad uno sponsor, ovvero un garante che ci avrebbe consentito di lavorare e quindi di rimanere”.

Ci siete riusciti?

“Una agenzia impegnata per questo scopo ci ha procurato uno sponsor e ci ha mandato a lavorare in un supermercato italiano, dove siamo stati pagati meno della metà di quanto ci spettava: noi avevamo bisogno di lavorare per restare e loro ne approfittavano. Ma io ho iniziato nuovamente a studiare- aggiunge Rocco- da maggio 2016 ho iniziato a frequentare un corso di 56 settimane di studio per diventare manager di azienda. Nel frattempo abbiamo lasciato quel lavoro dove lavoravamo entrambi, per approdare in un altro supermercato italiano, che aveva appena inaugurato ‘l’angolo gastronomico italiano'”.

La situazione era già migliorata.

“Gerardina è stata affiancata ad uno chef italiano in cucina, e in pochi mesi è diventata addirittura responsabile del reparto, prendendo il posto dello chef. Con lei la produzione era triplicata e lavora lì da due anni. Li ha conquistati con la pasta alla carbonara e la parmigiana di melanzane. Io ho fatto colloqui nei pastifici, gestiti da proprietari di origine italiana, che richiedono un buon italiano e una buona formazione. Ho iniziato a lavorare con loro sulla linea per i primi sei mesi per imparare il funzionamento delle macchine e poi sono diventato responsabile della qualità. In tutto questo non ho mai smesso di migliorare il mio inglese, e abbiamo avuto un prolungamento del visto per altri tre mesi. A febbraio l’azienda dove lavoro ha deciso di sponsorizzarmi”.

Ora avete ottenuto la residenza?

“A dicembre 2018 abbiamo finalmente ottenuto la residenza che ci permette di avere gli stessi diritti di un cittadino australiano, escluso il diritto di voto. Ora abbiamo il doppio passaporto. Dopo tre anni viviamo bene, abbiamo raggiunto la nostra realizzazione economica e lavorativa, ma non ancora quella professionale”.

I primi tre anni sono stati investiti per ottenere la residenza.

“Abbiamo lavorato sodo per ottenere i visti e mettere i documenti in regola, quindi abbiamo vissuto con l’ansia di non farcela. Ora che ci siamo riusciti possiamo passare ad altro. Abbiamo capito che se non hai una qualifica professionale alta il Governo non ti consente di restare. La laurea di Rocco e gli studi che abbiamo fatto sul posto ci hanno offerto delle possibilità; basti pensare che il Governo ci impiega un anno e mezzo di valutazioni prima di concedere la residenza”.

Il Governo australiano fa una cernita dei suoi immigrati e l’integrazione è un processo difficile tanto quanto in Italia, o in Europa in generale.

“All’inizio ti sfruttano: la concessione del visto è già un favore. Devi pagarti da solo la scuola di inglese- che è obbligatoria-, devi provvedere all’assicurazione sanitaria e devi pagare per ottenere il visto stesso. A questo bisogna aggiungere che gli agenti che ti prendono in carico per le documentazioni da tradurre hanno dei costi”.

Quanto avete speso in questi tre anni per tutto l’iter burocratico?

“Circa 35mila dollari in due, ovvero 22mila euro di spese. Lavoravamo e investivamo per restare. Siamo stati seguiti da una agente dell’immigrazione italiana che per noi è stata un importante punto di riferimento. Altra spalla importate sono stati i cugini di mia madre- sottolinea Rocco- che ci hanno sostenuto per i primi tempi, anche su come muoverci in città, dove affittare un appartamento”.

Adelaide è l’eldorado di cui si narra o si tratta di una leggenda?

“Se metti a posto i documenti ci sono milioni di possibilità: c’è sempre una porta che si apre. A differenza dell’Italia, l’Australia è meritocratica. Se non vali non resti, ma se vali sono loro a trattenerti in ogni modo. Non esistono raccomandazioni, ma solo il valore di ognuno”.

Siete tornati in Italia e in Irpinia dopo diverso tempo. Come è stato l’impatto del ritorno? Come vedete adesso l’Italia?

“Vista dall’Australia, l’Italia è solo una meta turistica. Gli italiani che sono emigrati là non tornerebbero mai ai paesi d’origine qui. Adelaide, come anche le altre città, è una terra di giovani e di forza lavoro giovane. Il benessere economico è tale che non ci sono 50enni a lavoro e sono davvero pochi gli ‘impiegati’ del Governo. In Australia è possibile cambiare lavoro ogni due anni, basta studiare”.

Quali sono le altre grandi differenze rispetto all’Italia?

“Le aziende trattengono gli operai perchè investono molto sulla loro formazione, e non per timore delle aggressioni sindacali. Dopo 10 anni di lavoro presso la stessa azienda al lavoratore vengono concesse 13 settimane di ferie retribuite. L’idea del lavoro è totalmente diversa: si lavora tanto, ma viene ricompensato al centesimo”.

In questi tre anni di assenza dall’Italia e dall’Irpinia avete notato cambiamenti al vostro ritorno?

“Qui in Irpinia e -crediamo in Italia in generale-, si è persa la speranza. Non c’è lo sguardo al futuro e i ragazzi non vengono spronati. Dove viviamo adesso possiamo decidere cosa fare della nostra vita e senza angoscia del futuro. Di certo non pensiamo di ritornare, in futuro chissà…”.

Cosa vi manca dell’Italia?

“Lì lo stile di vita è completamente diverso: non ci sono punti di ritrovo e tutto ruota intorno alla vita lavorativa, che non permette contatti assidui con nessuno. Ognuno è proiettato a vivere la propria famiglia all’interno delle mura domestiche e dopo il lavoro. Noi la chiamiamo isola felice, perché non ci sono problemi di immigrazione clandestina, né la malavita. La nostra percezione di sicurezza è altissima, e proviamo tanta rabbia nel vedere le immagini dell’Italia, di persone che studiano tanto per poi non ritrovarsi niente”.

Siete in contatto con altri italiani come voi?

“Abbiamo conosciuto altri italiani, perchè avvertiamo molto la solitudine. Quella è una idea di vita opposta alla nostra: i 20enni comprano casa e pensano solo a guadagnare. E’ differente l’idea di famiglia in generale: noi ci sediamo a tavola la domenica per ritrovarci, mentre loro si dedicano ai pic nic al parco”.

L’idea del pranzo di famiglia domenicale però è un’abitudine radicata in Italia Meridionale.

“Certo. Infatti ci manca il calore del paese, gli amici, la possibilità di stare insieme a guardare la partita, dell’aperitivo dopo il lavoro. Ci manca la famiglia a maglie strette, di condivisione totale. L’età in cui scegli di cambiare vita è determinante: noi siamo una famiglia e possiamo condividere il nostro tempo libero con chi condivide i nostri interessi e il nostro stile di vite, non con chi ha 20 anni e vuole solo il divertimento”.

 I vostri colleghi come vi considerano?

“Sul lavoro non esiste la competizione, né la cattiveria gratuita. L’ambiente lavorativo è sempre molto sereno, perché ognuno ha la sua paga alla fine della settimana e vige un grande rispetto fra colleghi. Se mi permetto di offendere in qualche modo un collega vengo sbattuto fuori”.

Nessun paragone con l’Italia di oggi insomma.

“Il quartiere in cui viviamo ha le dimensioni di un piccolo paese come questo, non c’è il traffico snervante, né le attese chilometriche negli uffici pubblici. I mezzi sono efficienti e circola una grande quantità di biciclette. E’ una città per le famiglie insomma, composta da una miriade di etnie e di immigrati provenienti da ogni parte del mondo. La grande mescolanza di culture fa sì che la città sia multietnica e rispettosa insieme. Siamo venuti a dicembre in Italia per respirare l’aria natalizia: ad Adelaide si avverte appena”.

Oggi in Italia il problema principale dell’agenda di Governo è frenare l’immigrazione. Voi siete testimoni involontari che la storia dell’umanità è la storia delle migrazioni e delle partenze. Che idea vi siete fatti?

“In Australia l’immigrazione è fonte di guadagno. Scuole di inglese obbligatorie, assicurazione sanitaria, alloggio, agenzie di traduzione collegate all’ufficio immigrazione. Senza contare la manovalanza a basso costo degli sponsor, e il fatto che gli italiani quando arrivano, fanno i lavori che gli austrialiani non faranno mai”.

Ogni mondo è paese. Siete soddisfatti della vostra scelta?

“Consigliamo questa esperienza a tutti. Per la possibilità di aprirsi la mente, affrontare una esperienza di studio e di vita nell’altro capo del mondo. Per godere di posti meravigliosi e della serenità mentale di sentirsi realizzati. Tutti dovrebbero almeno visitare l’Australia”.


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