Limone: “Una agricoltura sostenibile per fermare l’escalation dei tumori”

INTERVISTA AL DIRETTORE GENERALE DELL'ISTITUTO ZOOPROFILATTICO DEL MEZZOGIORNO. Il monito del mondo scientifico per l'adozione di politiche responsabili verso l'ambiente, in particolare nelle zone a più alto rischio per le malattie genetiche. "Acqua, e filiera alimentare devono costituire le massime priorità per le istituzioni a tutti i livelli"

Antonio Limone è il direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno che opera nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, in materia di igiene e sanità pubblica veterinaria. Irpino, il professor Limone ha introdotto una autentica innovazione nell’approccio scientifico della medicina della prevenzione, in particolare nello studio delle relazioni tra inquinanti ambientali e salute in Campania. Un metodo che è già stato introdotto e ha diffuso dati rilevanti soprattutto alla luce dell’emergenza “terra dei fuochi” in Campania, e che ha candidato l’Istituto di Portici a rivoluzionare studi e ricerche a livello  internazionale ma anche a diventare un Centro di Referenze nazionale. Ad oggi l’Istituto è partner dei 25 comuni del tavolo del Progetto Pilota altirpino per coordinare le iniziative sulla misura dedicata alla zootecnia e costruire un marchio di qualità in grado qualificare i prodotti del territorio, ma è presente ai tavolo scientifici e accademici di tutto il mondo come voce autorevole nel campo delle scienze dell’alimentazione.

Antonio Vito Limone, Direttore Generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno.

Dottor Limone lei è appena rientrato da Parigi, dove ha partecipato al Salone Internazionale dell’Alimentazione. Cosa è emerso?

“Il nostro obiettivo è stato quello di ricordare l’importanza dei controlli e della sicurezza alimentare. Il salone di Parigi è stato frequentato da rappresentanze di tutto il mondo, dalla Lapponia all’Australia, e il tema affrontato è stata l’introduzione della biotecnologia e della tecnologia a servizio dell’alimentazione. Il prodotto viene scomposto per controllarne la salubrità degli elementi, e manipolarli, ma alla fine si allontana dalle materie prime. Noi campani affrontiamo le cose diversamente: abbiamo messo l’innovazione al servizio della tradizione e il prodotto resta integro”.

E’ il recupero della tradizione che salverà i territori campani e non solo dall’abuso di veleni che vengono utilizzati nelle coltivazioni e nelle produzioni?

“L’obiettivo della Sanità di prevenzione è proprio quello di svuotare i reparti di oncologia. La comunità scientifica e le università americane rilevano un aumento del 30 per cento delle malattie tumorali, e credo che questa percentuale sia destinata a salire”.

Cosa propone per invertire questo trend?

“Cambiare innanzitutto la strategia di controllo, costruire la tracciabilità del cibo e assicurarsi che non sia dannoso. Produrre di più- che è la logica imperante- significa usare pesticidi. E’ necessario che tutti si convertano ad una produzione sostenibile”.

Antonio Vito Limone, Direttore dell’Istituto Zooprofilattico durante un convegno

Sarebbe utile adottare una riforma del comparto a livello nazionale?

“L’assetto nazionale sulla strategia dei controlli è carente perchè le matrici indagate sono altre rispetto a quelle che invece rappresentano il vero pericolo. Non si indaga sui contaminanti come il piombo, ma cerchiamo la salmonella; quindi credo che sia necessario modificare le norme e la Campania ha adottato una strategia intelligente in tal senso per misurare la qualità del cibo”.

Una speranza arriva proprio dall’Alta Irpinia, con una scommessa lanciata dal tavolo di sperimentazione altirpino del progetto pilota. L’Istituto zooprofilattico ha un ruolo da protagonista in un’apposita misura di un bando del Psr dedicato alla zootecnia. 

Una riunione dei sindaci del progetto pilota

“Il nostro obiettivo illustrato nella progettazione è quello di recuperare le razze etniche bovine e caprine che sono state poco valorizzate negli anni: mi riferisco alle razze laticauda e podolica che hanno un grande pregio e che possono ambire a guidare lo sviluppo come altre razze lo sono state per le Marche o per la Toscana. Il rilancio di queste razze potrebbe essere il volano per lo sviluppo delle aree interne”.

Non solo per la produzione di carni, ma anche per i prodotti caseari.

“Avremmo modo di portare a regime la produzione di latte e formaggi di altissima qualità. Abbiamo l’expertize giusto ma soprattutto abbiamo la consapevolezza di non voler ripercorrere le tradizioni in chiave nostalgica ma introdurre innovazione e tecnica. Immagino i pastori con tablet e pc, in grado di applicare tutte le innovazioni disponibili. Se poi abbiniamo questi prodotti a vini di alta qualità, il territorio avrebbe coniugato tutte le sue potenzialità”.

L’abbinamento di vini e formaggi bastano a costruire una cifra del territorio?

“Rilanciare i formaggi e abbinare i vini che si producono in Irpinia non sarà sufficiente a creare una cifra, ma sarà necessario integrare il turismo, con la valorizzazione delle montagne, e di siti strategici come l’altopiano del Laceno di Bagnoli, Montella e il Partenio. In questo è fondamentale il partenariato e il progetto pilota è il soggetto giusto per coordinare le azioni, soprattutto alla luce del fatto che l’Alta irpinia è un laboratorio di sperimentazione che dovrà esportare altrove le ricette vincenti”.

Lei ha parlato del recupero delle razze etniche e dell’abbinamento ai vini di eccellenza. Dov è l’innovazione?

“Non parliamo più di economia rurale ma di sistema. oggi siamo in grado di ragionare per panieri di produzione. Il caciocavallo di Calitri prodotto nelle grotte sarà affiancato dalla coltelleria, da chi produce tovaglie e dagli artigiani. Il paniere diventa un simbolo e quindi un marchio di qualità, a cui l’istituto Zooprofilattico garantirebbe i controlli dei prodotti. Qui si produce latte di altissima qualità: un potenziale che la provincia di Avellino deve abbinare con le cantine vitivinicole e i luoghi da visitare”.

A questo bisogna aggiungere i servizi però.

“La rete informatica deve essere potenziata, così come i servizi e la ricettività. Ma su questo aspetto lavora il progetto pilota, che deve saper concertare tutte le iniziative e cogliere tutte le opportunità per costruire una sinergia positiva”.

Lei ha degli orizzonti a cui guardare?

“Abbiamo l’esempio di Agostino Della Gatta e della riqualificazione del borgo di Castelvetere, che ha acceso un luogo che è rimasto spento per anni attraverso una progettualità dedicata all’accoglienza. Ritengo che l’Irpinia debba guardare con maggiore convinzione alle zone costiere nelle politiche turistiche: bisogna spingere per diventare attrattori e per inserirci nei pacchetti turistici come meta dei grandi vini, formaggi e salumi di eccellenza. Le competenze giuste ci sono, ma è necessario implementarle e costruire il sistema”.

Il territorio intanto, dovrà anche impegnarsi a concorrere alla costruzione e al mantenimento dell’eccellenza.

“La tutela dell’ambiente diventa prioritaria in questo quadro. Due sono i beni che vanno preservati: l’ambiente e i luoghi e l’acqua, che al momento rappresenta una delle nostre priorità in assoluto”.

Ritiene che non vengano perseguiti questi obiettivi?

“Avverto una insufficienza di attenzione per le sorti delle nostre sorgenti, nonostante rappresentino il bacino imbrifero più importante d’Europa. A livello politico manca la sensibilità di mettere davanti ad ogni disputa il territorio e la sopravvivenza del ciclo idrico, oggi minacciato dall’inquinamento, e la mancanza di manutenzione delle infrastrutture, con un abuso di idroprelievi. C’è bisogno di fermarsi e di aprire una discussione con il mondo scientifico per pianificare gli interventi necessari a salvaguardare l’ecosistema dei Monti Picentini e del sistema idrografico in particolare della provincia di Avellino. Mi riferisco, ovviamente, ai fiumi Sele, Ofanto e Calore, ma anche alla condizione preoccupante di altri corpi idrici importanti, a partire dal Sabato”.

Si riferisce alla vicenda dell’Alto Calore?

“Le istituzioni si stanno perdendo in miopi localismi, ma trascurano l’aspetto principale che è la tutela della risorsa idrica. Non mi riferisco soltanto all’Alto Calore, ma anche all’Acquedotto Pugliese, che non considerano i limiti sulla capacità di emungere”.

Il consiglio regionale della Campania ha approvato il Pear- il Piano energetico ambientale regionale. Cosa ne pensa? La reputa una misura efficace a preservare la salubrità dell’ambiente?

“Credo che gli sforzi dei funzionari regionali siano positivi, e che oggi ci sia una maggiore volontà di mostrare attenzione nei confronti dei territori per dare risposte all’utenza. Rilevo però, che sono i cittadini a non collaborare e a non organizzarsi: non vedo sforzi importanti. Anche i fondi della comunità Europea tornano indietro, e la parola cooperativismo è stata cancellata dal nostro vocabolario. Noi restiamo litigiosi su tutto”.

Altro tema scottante all’ordine del giorno di amministratori e cittadini sono i rifiuti. Che percezione ha dal suo osservatorio?

“I rifiuti non sono un grande problema: l’obiettivo deve essere quello di controllare sempre il grado di inquinamento nei luoghi di criticità già segnalati. Con il progetto Spes, Campania Trasparente ci siamo posti l’obiettivo di verificare lo stato di salute dell’ambiente, non come fanno gli urlatori o i negazionisti- ma attraverso il monitoraggio costante”.

Cosa rivela il monitoraggio?

“Monitorare significa avere certezze per stabilire un paradigma che si declina nel binomio ambiente- salute. In Campania è stato fatto uno degli sforzi più importanti per garantire questo binomio e per avere certezze sui quattro elementi naturali che sono l’acqua, la terra, l’aria e il fuoco (che sprigiona tossine), per controllare il territorio e accertarsi che produca cibo sano”.

Quali sono le prospettive dell’Istituto?

“L’ambizione che portiamo avanti è quella di diventare Centro di Referenza Nazionale per l’allevamento bufalino, e ottenere altri riconoscimenti internazionali che possano riconoscere il valore delle nostre ricerche”.

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